Ai sensi dell'art. 156 c.c. il coniuge ha diritto al mantenimento, e quindi a ricevere il relativo assegno, quando non abbia redditi adeguati e, in applicazione di tale principio, giurisprudenza costante (ex plurimis Cass. n. 2156 del 2010) ha ritenuto di precisare che per la separazione l'inadeguatezza dei redditi viene valutata in funzione dell'esigenza di conservare, almeno tendenzialmente, il medesimo tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale.
Pertanto l'assegno di mantenimento deve assicurare al coniuge "debole" in linea di massima un tenore di vita analogo a quello tenuto in costanza di matrimonio.
Ne consegue che l'ammontare dell'assegno di mantenimento in sede di determinazione dovrà essere commisurata oltre che in base ai redditi dell'obbligato, anche in base alle "sostanze" dello stesso.
Infatti, anche nel caso in cui i redditi dell'obbligato fossero inferiori proporzionalmente rispetto ad un cospicuo patrimonio, l'assegno stesso dovrebbe quantificarsi anche con riguardo a tale patrimonio.
In mancanza di prove attestanti il "tenore di vita" tenuto dai coniugi in costanza di matrimonio, lo stesso può essere ricavato proprio dall'ammontare complessivo del patrimonio e dei redditi dei coniugi, dando esso luogo ad una presunzione sul tenore di vita da essi goduto durante il matrimonio.
Ne consegue che se uno dei coniugi, di solito la moglie, non ha mai lavorato durante la convivenza matrimoniale, perché casalinga, sempre accudendo al coniuge e alle figlie, lo stesso secondo la Corte di Cassazione non ha redditi e possiede una capacità di guadagno pressochè nulla.
Pertanto, la casalinga avrà senz'altro diritto all'assegno di mantenimento ex art. 156 c.c. e lo stesso dovrà essere di importo adeguato a garantirle un tenore di vita analogo a quello tenuto durante la convivenza matrimoniale.
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