domenica 10 novembre 2013

Crisi di coppia: il marito fedifrago e violento risponde sempre della propria condotta con l'addebito della separazione anche se la moglie si è vendicata, denigrandolo di fronte alla prole

Quando una coppia scoppia le colpe non sono mai da una parte sola.  

Ma quando il giudice deve addebitare una separazione, deve pur sempre compiere una valutazione comparativa del comportamento dei due coniugi, pesando quale dei comportamenti è il più grave.

Infatti, al Tribunale è sempre richiesto di valutare quale dei comportamenti tipici della casistica in materia di crisi familiare è quello determinante, e cioè passibile di essere punito con l'addebito.

Spesso di fronte al Giudice compaiono un marito che ha tenuto un comportamento violento ed ha tradito la moglie e, naturalmente, proprio quest'ultima che, a sua volta, si è vendicata, denigrando il marito nei confronti dei figli per provocare in loro un odio nei confronti del padre.

Secondo la Corte di Cassazione (sentenza 14 ottobre 2013, n. 23236), in questi casi, è legittimo l'addebito della separazione al marito violento e fedifrago e non alla moglie che con un atteggiamento rigido e vendicativo lo abbia denigrato agli occhi del figlio per provocare odio nei suoi confronti.

Alla moglie, infatti, in una siffata ipotesi non sarebbe ascrivibile alcuna volontaria violazione degli obblighi nascenti dal matrimonio, avendo la stessa solo reagito alle violazioni commesse dal marito, il quale, invece, ha violato il vincolo coniugale, assumendo un comportamento aggressivo e violento nei confronti sia della moglie sia dei figli e coltivando una relazione extraconiugale con un'altra donna, il che aveva determinato la rottura del rapporto coniugale. 

In questi casi, la comparazione dei comportamenti dei coniugi deve portare ad una motivata valutazione di merito sfavorevole al marito. 

Certo un atteggiamento unilaterale ed eccessivamente rigido di un coniuge teso a squalificare l'altro coniuge agli occhi dei figli e a provocare negli stessi odio nei confronti del genitore, in re ipsa, sopratutto se protratto per lungo tempo nel corso del rapporto matrimoniale, rappresenta in una violazione degli obblighi del genitore nei confronti dei figli di cui all'art. 147 cod. civ., oltre che una grave violazione dell'obbligo nei confronti dell'altro coniuge. 

Ma ciò, si ribadisce, solo se una siffatta condatta dovesse essere ingiustificata e priva di cause scatenanti.

Se al contrario, essa si inserisce in un contesto di tradimenti ed abusi, non può in alcun modo essere causa di addebito, oltre che di risarcimento del danno, e deve essere, se non giustificata, quanto meno compresa. 

 

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