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Chi di Voi non ha mai sentito parlare di mobbing, alzi la mano!
Ormai questo vocabolo è entrato con forza a far parte
del vocabolario, ma, stranamente, non della legislazione italiana
Tutti ne parlano, i casi di mobbing, anche sistematici, sono all'ordine del giorno, ma il Legislatore Italiano, ad oggi, non ha ancora pensato di disciplinare, una volta e per tutte, la condotta umana
consistente in un insieme di comportamenti violenti ed intimidatori perpetrati nel mondo del lavoro.
Per fortuna, in soccorso dei lavoratori è da tempo
intervenuta la Giurisprudenza, che, con diverse pronunce, ha qualificato con
estrema precisione la peculiarità del mobbing.
Secondo la ricostruzione dei Giudici, gli elementi
costitutivi del mobbing, al di là delle condotte integrative, non tipizzabili
in astratto, in quanto tutte sussumibili nel concetto di cannibalismo sociale, sono:
1) il disegno doloso/strategia;
2) lo scopo della condotta/evento illecito e le
conseguenze dannose sul lavoratore;
3) La strategia persecutoria, vale a dire il progetto
finalizzato all'estromissione dal contesto lavorativo e del successivo
allontanamento del lavoratore mobbizzato, che, venendosi a trovare in una
posizione di debolezza psicofisica ed in uno stato di frustrazione psicologica,
si troverà costretto ad andarsene.
Tuttavia, il mobbing sussiste anche nel caso in cui il
lavoratore non ceda alle pressioni e non rassegni le proprie dimissioni.
Infatti, ciò che rileva è la commissione di reiterate
condotte aventi caratteristiche oggettive di persecuzione e
discriminazione risultanti, specificamente, da una connotazione emulativa e
pretestuosa, principio, questo, consacrato dalla Sentenza n. 1100/2011 della
Corte d’Appello di Firenze.
Inoltre, poiché il mobbing si realizza tanto a livello
verticale (e, quindi, dirigenziale o di vertice) che orizzontale (e, quindi,
tra lavoratori appartenenti allo stesso livello contrattuale), anche in assenza
di dolo del datore di lavoro può, comunque, sussistere una responsabilità
imprenditoriale ex art. 2087 cod. civ. e, quindi esclusivamente a livello
civilistico, sotto il profilo della culpa in eligendo ed in vigilando, e ciò per
aver omesso di adottare quei controlli necessari per scongiurare il prodursi
della persecuzione ai danni del lavoratore.
Il mobbing orizzontale è stato per la prima volta
riconosciuto dalla Corte di Cassazione, che, con Sentenza n. 12735/2008, ha
sanzionato il datore di lavoro per le vessazioni perpetrate su un lavoratore ad
opera di pari grado, e ciò all’insaputa dei vertici societari (vd. Cass.
12735/2008).
Ma non è tutto. Non c'è mobbing senza danno. Vale a
dire che per la sussistenza dell'illecito di mobbing, gli atti di cannibalismo
sociale devono produrre un qualche effetto dannoso sulla vittima.
Il danno risarcibile è, a seguito della più recente
giurisprudenza, il danno esistenziale e non solo più il danno biologico.
Infatti, limitare il danno risarcibile al solo danno
biologico avrebbe ulteriormente pregiudicato il lavoratore, che avrebbe
ottenuto il risarcimento dei danni solo per la malattia effettivamente
sofferta.
Al contrario, la più recente giurisprudenza riconosce
al lavoratore anche il risarcimento di tutti i pregiudizi sofferti, quand’anche
non degenerino in una vera e propria patologia psicofisica, ma siano atti a
produrre riflessi negativi e deteriori sulla qualità della vita della vittima.
Il mobbing, infatti, non causa necessariamente
depressioni o ansie, ma sovente accade che la vittima di mobbing,
particolarmente forte, non si ammala, ma, comunque, subisce un disagio o
sviluppa un atteggiamento di rinuncia alla vita, che nelle forme più gravi e
nei soggetti più predisposti assume la forma di patologia.
Tuttavia, il vero elemento di difficoltà nel mobbing è
la prova.
Il lavoratore deve dimostrare la sussistenza di tutti
gli elementi costitutivi del mobbing, sopra elencati e, quindi, 1) la
strategia, 2) lo scopo e 3) l'evento dannoso, come diretta conseguenza della
condotta lesiva subita.
Impresa ancor più ardua nell’ipotesi in cui gli
autori materiali delle vessazioni non fossero un unico soggetto, ma più
persone, come spesso avviene.
Senza considerare il fatto che, essendo lo scopo del
mobbing proprio l’emarginazione e l'estromissione innaturale del lavoratore dall’ambiente
di lavoro e dalla propria posizione lavorativa, sarà molto difficile ricorrere
alle testimonianze dei colleghi di lavoro.
Di recente, la Giurisprudenza, conscia della
difficoltà dell’onere della prova a carico del lavoratore vessato, ha elaborato
una forma di mobbing attenuata, definita straining.
E’ vittima di straining chi viene pesantemente
emarginato e vessato sul luogo di lavoro, con condotte non sussumibili nel vero
e proprio cannibalismo sociale e, quindi, nel mobbing.
Anche in casi di attacchi minori, tuttavia, come si
evince dalla Sentenza n. 28603/2013 della Corte di Cassazione, i responsabili
devono essere sanzionati e la vittima deve essere risarcita.
Lo straining è una forma di mobbing attenuata, che si
concretizza in una concatenazione di comportamenti discriminatori ai danni del
lavoratore, quali la sottrazione di responsabilità in favore di altro
dipendente, ingiustificatamente favorito dai dirigenti, le ingiuste ed aspre
critiche alla professionalità del lavoratore, la convocazione di un incontro
intersindacale finalizzato a criticare la condotta del dipendente, proprio nel
periodo in cui si era messo in ferie per riprendersi dalle dure critiche
ricevute dai superiori, l'estromissione dal servizio di cui si era occupato,
con il successivo inserimento in mansioni dequalificanti.
Anche tali questi episodi, seppur non configurano una
vera e propria persecuzione, sono idonei a produrre la grave lesione dei diritti del lavoratore,
il quale viene estromesso dalle proprie funzioni abituali ed alle mansioni
prima assegnategli, per un periodo di tempo superiore a 40 giorni.
Avete visto, quindi, come la Giurisprudenza negli anni
abbia costruito una disciplina sanzionatoria quasi completa, che punisce
severamente il datore di lavoro che cerchi di aggirare gli strumenti legali di
tutela del lavoratore, mediante atteggiamenti violenti ed intimidatori.
E’ inspiegabile, invece, il silenzio del Legislatore
Italiano, che da ulteriore prova di non tenere in nessuna considerazione i
diritti del lavotare.
Gli esperti giuslavoristi di Mk&Partners sono da
anni impegnati, con la propria attività forense, a coadiuvare la giurisprudenza
nell’ampliamento della tutela dei diritti dei lavoratori così bistrattati nel
nostro ordinamento giuridico.
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