E' interessante vedere su internet offerte di modelli organizzativi ex d.lgs. 231/2001 a prezzi stracciati, come se per mettersi al riparo dalla gravissima responsabilità della propria impresa per i reati commessi da dirigenti e dipendenti bastasse dotarsi del classico pezzo di carta standard, da esibire all'occorrenza a chi di dovere.
Dopotutto, gli imprenditori, oggi messi dalla Corte di Cassazione di fronte alla necessità di adottare i modelli organizzativi, sono convinti della inutilità dei modelli, come se si trattasse del solito balzello all'italiana creato ad artem per aumentare inutilmente burocrazia e costi, rendendo sempre più difficile fare impresa nel nostro paese.
In realtà, tutti gli adempimenti ex lege previsti per gli operatori economici italiani, solo recentemente introdotti nel nostro ordinamento giuridico, all'estero, e soprattutto negli ordinamenti anglosassoni, esistono da decenni ed i controlli e le sanzioni associati alla loro violazione sono di gravità e severità primari, senza considerare che maggiore è anche la certezza della pena.
Privacy, Sicurezza sul Lavoro, Igiene e, dulcis in fundo, Compliance aziendale (la nostra "231" per intenderci) fuori dai confini italiani rappresentano l'abc dell'impresa e chi non è in regola con gli adempimenti richiesti rischia di doversi confrontare con una reazione fortissima da parte dell'ordinamento.
E' noto che all'estero per gli illeciti economici si paga cara la pelle. Come non dimenticare che, mentre il nostro Tanzi per il crack Parmalat è stato condannato a qualche anno di reclusione (peraltro scontato a casa), in USA Muddok, responsabile di fatti analoghi - anzi meno gravi, è stato condannato a 200 anni di carcere che vengono scontati in duro regime penitenziario.
Peraltro, la Compliance aziendale in Italia non ha natura obbligatoria per legge e solo l'attività ermeneutica della Corte di Cassazione e dei Tribunali di merito ha consacrato il principio della necessità dei modelli organizzativi, rendendoli di fatto obbligatori.
Di recente, è poi scesa in campo la Guardia di Finanza a dirci che i modelli organizzativi standardizzati non servono a nulla, ma ogni realtà economica deve adottare un modello personalizzato ed appositamente studiato.
La circolare n. 83607/2012, emanata il 19.03.2012 dal Comando Generale della Guardia di Finanza, ha infatti reso note le modalità di indagine per l'accertamento della responsabilità da reato degli enti ex D.Lgs. n. 231/2001. Molti di voi si staranno chiedendo cosa c'entri in tutto ciò la GdF.
Ebbene, quando nell'ambito di un'impresa vengono commessi dei reati (naturalmente deve trattarsi di uno dei reati indicati espressamente dal D.lgs. 231/2001 anche se parte della Giurisprudenza è orientanta verso una applicazione estensiva), alle indagini per l'accertamento della responsabilità penale si aggiungono le indagini per punire l'ente, ex art. 231/2001, con sanzioni di tipo economico o addirittura con la sospensione dell'attività o con la nomina di un commissario giudiziario, nel caso in cui si debbano tutelare le ragioni della produzione.
Le indagini per accertare la responsabilità ex D.lgs. 231/2001 rientrano quindi nella fase di indagini preliminare e vengono condotte su iniziativa del P.M. da parte della P.G. (Polizia Giudiziaria) e sotto la supervisione del GIP che commina anche le relative sanzioni in via preliminare e cautelare.
Come emerge anche dalla circolare in commento, l’adozione del modello di organizzazione, gestione e controllo è ormai una misura necessaria da parte dell’organo dirigente dell’ente (sul punto è concorde la Giurisprudenza Civilistica di merito e di legittimità).
Secondo la GdF, il modello organizzativo oltre a dover essere presente e a dover esistere materialmente deve essere anche efficace.
Ed infatti l'unico modo per evitare le sazioni ex D.lgs. 231/2001 è la preventiva adozione del modello medesimo e la sua attuazione, cosicché il reato commesso in seno all'ente risulti come una violazione o un aggiramento fraudolento dei presidi e dei controlli.
In tale contesto, l’attività della Guardia di Finanza ha ad oggetto proprio la verifica dell’idoneità del modello a prevenire la commissione dei reati presupposto.
Ma non solo. La GdF nel corso delle indagini va addirittura a verificare e ad accertare le effettive, concrete e dinamiche modalità con cui lo stesso è stato adottato, attuato ed implementato all’interno dell’ente.
L'adozione di un modello standard e, quindi, non studiato ad hoc, secondo la GdF equivale a fare il classico compitino e non esclude nel modo più assoluto la "colpa in organizzazione" dell’ente, con tutte le conseguenze del caso.
Se non viene dimostrata l’idoneità modelli assunti dall’enteai fini della prevenzione dei reati, i modelli non possono assolvere la loro funzione di esimente ed oltre al responsabile materiale del reato sarà punito anche l'ente.
Infatti, il D.lgs. n. 231/2001, all'art. comma 1, lett. a) pone espressamente in capo all'ente l’onere probatorio circa l’effettiva adozione e l’efficace attuazione, prima della commissione del fatto, di un modello di organizzazione e di gestione idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi (nell’ipotesi di responsabilità commessa da persona in posizione apicale), con tutte le evidenti problematiche che questo comporta.
Naturalmente, l'ente, avvalendosi delle indagini difensive potrà altresì dimostrare l’aggiramento fraudolento del modello di gestione, nonché la mancanza di vantaggio o interesse connessi alla commissione del reato, posto in essere nell’interesse esclusivo dell'autore materiale.
Pertanto l'adozione di modelli efficaci, nel breve termine assai più costosa, nel lungo termine ed in prospettiva si rivela una necessità imprescindibile, nell'ottica di fronteggiare eventi gravissimi, potenzialmente in grado di coinvolgere l’azienda, quand'anche la stessa non abbia avuto alcun ruolo o vantaggio in relazione alla commissione di uno dei reati presupposto ex D.lgs. 231/2001.
Dopotutto, gli imprenditori, oggi messi dalla Corte di Cassazione di fronte alla necessità di adottare i modelli organizzativi, sono convinti della inutilità dei modelli, come se si trattasse del solito balzello all'italiana creato ad artem per aumentare inutilmente burocrazia e costi, rendendo sempre più difficile fare impresa nel nostro paese.
In realtà, tutti gli adempimenti ex lege previsti per gli operatori economici italiani, solo recentemente introdotti nel nostro ordinamento giuridico, all'estero, e soprattutto negli ordinamenti anglosassoni, esistono da decenni ed i controlli e le sanzioni associati alla loro violazione sono di gravità e severità primari, senza considerare che maggiore è anche la certezza della pena.
Privacy, Sicurezza sul Lavoro, Igiene e, dulcis in fundo, Compliance aziendale (la nostra "231" per intenderci) fuori dai confini italiani rappresentano l'abc dell'impresa e chi non è in regola con gli adempimenti richiesti rischia di doversi confrontare con una reazione fortissima da parte dell'ordinamento.
E' noto che all'estero per gli illeciti economici si paga cara la pelle. Come non dimenticare che, mentre il nostro Tanzi per il crack Parmalat è stato condannato a qualche anno di reclusione (peraltro scontato a casa), in USA Muddok, responsabile di fatti analoghi - anzi meno gravi, è stato condannato a 200 anni di carcere che vengono scontati in duro regime penitenziario.
Peraltro, la Compliance aziendale in Italia non ha natura obbligatoria per legge e solo l'attività ermeneutica della Corte di Cassazione e dei Tribunali di merito ha consacrato il principio della necessità dei modelli organizzativi, rendendoli di fatto obbligatori.
Di recente, è poi scesa in campo la Guardia di Finanza a dirci che i modelli organizzativi standardizzati non servono a nulla, ma ogni realtà economica deve adottare un modello personalizzato ed appositamente studiato.
La circolare n. 83607/2012, emanata il 19.03.2012 dal Comando Generale della Guardia di Finanza, ha infatti reso note le modalità di indagine per l'accertamento della responsabilità da reato degli enti ex D.Lgs. n. 231/2001. Molti di voi si staranno chiedendo cosa c'entri in tutto ciò la GdF.
Ebbene, quando nell'ambito di un'impresa vengono commessi dei reati (naturalmente deve trattarsi di uno dei reati indicati espressamente dal D.lgs. 231/2001 anche se parte della Giurisprudenza è orientanta verso una applicazione estensiva), alle indagini per l'accertamento della responsabilità penale si aggiungono le indagini per punire l'ente, ex art. 231/2001, con sanzioni di tipo economico o addirittura con la sospensione dell'attività o con la nomina di un commissario giudiziario, nel caso in cui si debbano tutelare le ragioni della produzione.
Le indagini per accertare la responsabilità ex D.lgs. 231/2001 rientrano quindi nella fase di indagini preliminare e vengono condotte su iniziativa del P.M. da parte della P.G. (Polizia Giudiziaria) e sotto la supervisione del GIP che commina anche le relative sanzioni in via preliminare e cautelare.
Come emerge anche dalla circolare in commento, l’adozione del modello di organizzazione, gestione e controllo è ormai una misura necessaria da parte dell’organo dirigente dell’ente (sul punto è concorde la Giurisprudenza Civilistica di merito e di legittimità).
Secondo la GdF, il modello organizzativo oltre a dover essere presente e a dover esistere materialmente deve essere anche efficace.
Ed infatti l'unico modo per evitare le sazioni ex D.lgs. 231/2001 è la preventiva adozione del modello medesimo e la sua attuazione, cosicché il reato commesso in seno all'ente risulti come una violazione o un aggiramento fraudolento dei presidi e dei controlli.
In tale contesto, l’attività della Guardia di Finanza ha ad oggetto proprio la verifica dell’idoneità del modello a prevenire la commissione dei reati presupposto.
Ma non solo. La GdF nel corso delle indagini va addirittura a verificare e ad accertare le effettive, concrete e dinamiche modalità con cui lo stesso è stato adottato, attuato ed implementato all’interno dell’ente.
L'adozione di un modello standard e, quindi, non studiato ad hoc, secondo la GdF equivale a fare il classico compitino e non esclude nel modo più assoluto la "colpa in organizzazione" dell’ente, con tutte le conseguenze del caso.
Se non viene dimostrata l’idoneità modelli assunti dall’enteai fini della prevenzione dei reati, i modelli non possono assolvere la loro funzione di esimente ed oltre al responsabile materiale del reato sarà punito anche l'ente.
Infatti, il D.lgs. n. 231/2001, all'art. comma 1, lett. a) pone espressamente in capo all'ente l’onere probatorio circa l’effettiva adozione e l’efficace attuazione, prima della commissione del fatto, di un modello di organizzazione e di gestione idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi (nell’ipotesi di responsabilità commessa da persona in posizione apicale), con tutte le evidenti problematiche che questo comporta.
Naturalmente, l'ente, avvalendosi delle indagini difensive potrà altresì dimostrare l’aggiramento fraudolento del modello di gestione, nonché la mancanza di vantaggio o interesse connessi alla commissione del reato, posto in essere nell’interesse esclusivo dell'autore materiale.
Pertanto l'adozione di modelli efficaci, nel breve termine assai più costosa, nel lungo termine ed in prospettiva si rivela una necessità imprescindibile, nell'ottica di fronteggiare eventi gravissimi, potenzialmente in grado di coinvolgere l’azienda, quand'anche la stessa non abbia avuto alcun ruolo o vantaggio in relazione alla commissione di uno dei reati presupposto ex D.lgs. 231/2001.
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