venerdì 5 luglio 2013

La rivincita dei bamboccioni ... i figli maggiorenni ed incolpevolmente inoccupati hanno diritto al mantenimento


E non poteva essere altrimenti in un paese a mobilità ridotta ed a crescita pari a zero come l'Italia, un Paese che da anni mortifica la propria gioventù, spesso lasciata a marcire senza sbocchi professionali e con trattamenti economici il più delle volte da fame.

La Giurisprudenza lo ha detto per anni e lo ha ribadito da ultimo anche con la Sentenza n. 11020/2013, con la quale ha respinto il ricorso di un padre che chiedeva la diminuzione dell'assegno di mantenimento per il figlio ultratrentenne, che non riusciva, incolpevolmente, a trovare una occupazione stabile ed a raggiungere l’indipendenza economica.

La Corte di Cassazione, confermando le precedenti decisioni in materia, ha, quindi, affermato ancora una volta l'obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli, ai sensi degli artt. 147 e 148 c.c., anche se questi sono maggiorenni.

Infatti, tale obbligo non può cessare - sic et simpliciter - automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma sussiste finché il figlio non abbia raggiunto l'indipendenza economica per cause a lui non imputabili.

Al contrario, qualora il figlio si dovesse rifiutare indebitamente di trovare una occupazione, preferendo bighellonare ed oziare, perderebbe, per ovvie ragioni, il diritto al mantenimento.

L'accertamento sullo status di autosufficienza economica del figlio, peraltro, deve essere necessariamente ancorato alle aspirazioni, al percorso scolastico, universitario e post-universitario della persona ed alla situazione attuale del mercato del lavoro, con specifico riguardo al settore nel quale il soggetto abbia indirizzato la propria formazione e la propria specializzazione, investendo impegno personale ed economie familiari. 

In poche parole, il figlio che aspiri ad essere un chirurgo e riesca, nonostante gli sforzi, a trovare lavoro solo in call center, con stipendi inadeguati, mantiene il diritto al mantenimento.

Infatti, la Corte di Cassazione ha da sempre espresso il principio secondo cui il conseguimento di redditi, percepiti in via precaria ed insufficiente, non comporta che il figlio abbia raggiunto la tanto desiderata autosufficienza economica, ragione per cui l'assegno di mantenimento può essere ridotto o revocato solo qualora provato che il l'occupazione lavorativa è idonea ad assicurare al figlio, anche con riferimento alla durata del rapporto in futuro, la completa autosufficienza economica.

Dopotutto è la stessa Legge a prevedere che il giudice, valutate le circostanze del caso concreto, può disporre in favore dei figli maggiorenni, non indipendenti economicamente, il pagamento di un assegno periodico. 

Tale assegno, salva diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all'avente diritto. 

Deve essere, invece, revocato l'assegno di mantenimento al figlio che non vuole lavorare, e ciò, naturalmente, anche se il figlio rifiuti un lavoro non pienamente rispondente alle sue aspirazioni ed agli studi fatti, ma idoneo ad assicurargli un futuro.

Alla luce di queste considerazione, appare evidente come sia ancora una volta la giurisprudenza a dover leggere ed interpretare le pulsioni e gli umori della società civile, dando risposte concrete ai problemi irrisolti del nostro Paese.

Quello dell’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne è un problema che va ben al di là dei profili antropologici tipici degli scontri generazionali.

In quella che sembra una lite bagatellare tra un padre ed un figlio si sublimano, insieme, il disagio e le difficoltà dei giovani italiani, a torto definiti bamboccioni, che non riescono a ritagliarsi, spesso non per colpa loro, una dimensione aderente ai propri sogni ed alle proprie ambizioni, rimanendo incastrati in una lunghissima adolescenza, in cui, a 30 anni, dopo anni di studi e di sacrifici, si ritrovano ancora a dover dipendere da mamma e papà, che per tale ragione li devono mantenere anche da adulti.

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