Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con
le sentenze gemelle (eterozigote) n. 6070/2013 e 6072/2013, hanno forse scritto la
parola fine sulla annosa questione degli effetti sui rapporti giuridici di una
società ancora in essere al momento della cancellazione dalla CCIAA.
In particolare, la Suprema Corte ha definito i
destini dei rapporti debitori, creditori e processuali.
Secondo la massima elaborata, qualora
all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro
delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente
capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio.
Il primo corollario di tale principio è che le
obbligazioni della società cancellata si trasferiscono ai soci, i quali ne
rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o
illimitatamente, a seconda che essi fossero o meno illimitatamente responsabili
per i debiti sociali.
Il secondo corrollario è che si trasferiscono altresì ai soci, in regime di
contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non contemplati nel
bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese,
anche se azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora
incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto la
prosecuzione della fase di liquidazione.
Con la conseguenza che il mancato
espletamento da parte del liquidatore delle attività necessarie al recupero di
dette poste attive equivale ad un atto di rinuncia della societá.
Sotto il profilo processuale, invece, la
cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società impedisce
che la stessa possa agire o essere convenuta in giudizio.
Se l’estinzione della società cancellata dal
registro delle imprese interviene, quindi, in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si
determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dagli articoli 299
e segg. c.p.c., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione
del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci.
Ove invece l’evento estintivo non sia stato eccepito nei tempi e nei modi di cui agli artt. 299 e seguenti c.p.c.,
l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve essere promossa, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei
confronti dei soci succeduti.
Come noto, infatti, a seguito della riforma del diritto
societario, di cui al D.Lgs. n. 6/2003, la questione degli effetti della
cancellazione di una societá dal registro delle imprese è stata al centro di un
acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale,
La problematica della cancellazione della società
era già stata in numerose pronunce affrontata dalla giurisprudenza, che aveva
avevano sottolineato i rilevanti limiti dell'art. 2495 cod.civ.
La norma in esame, disciplinando gli effetti della cancellazione delle società di capitali dal registro delle imprese, dispone
che, approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono
chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese.
Ferma
restando l'estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali
non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi
riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei
liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi.
La
domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata
presso l'ultima sede della società.
I dubbi interpretativi nascevano dal fatto
che la cancellazione produce senz’altro l’effetto estintivo della
società, salvo la prova della continuazione di fatto dell'impresa, da cui puó
tutt'al più scaturire la procedura di cancellazione della cancellazione.
Si trattava allora di definire, secondo una lettura sistematica e razionale della norma, le effettive
conseguenze che potevano derivare in ordine ai rapporti già in capo alla società
estinta, ma pendenti al momento della cancellazione, in quanto trascurati o sopravvenuti.
Nell'esegesi applicativa della norma, la
giurisprudenza si era convinta del fatto che il legislatore, elaborandone la ratio,
non avrebbe potuto mai volere, come conseguenza naturale della cancellazione, l'estinzione dei rapporti passivi.
Una simile scelta avrebbe penalizzato
ingiustificatamente i creditori sociali insoddisfatti al momento della
formalità di cancellazione.
Pertanto, la naturale conseguenza della mancata
estinzione delle posizioni creditorie doveva per forza di cose essere il passaggio dei
debiti insoddisfatti, alla data di cancellazione della società, in capo ai
successori dell’ente, configurando di tal guisa un’ipotesi di successione inter
vivos.
Infatti, la ratio da perseguire risiede nell’intento di impedire che la
società debitrice possa, con un proprio comportamento unilaterale, che sfugge
al controllo del creditore, negare a quest’ultimo il suo diritto di credito.
Tuttavia un siffatto risultato si può realizzare appieno solo se si riconosce che i debiti non liquidati
della società estinta si trasferiscono ipso iure in capo ai soci, salvo i limiti di
responsabilità patrimoniale codificati dall'2495 cod. civ.
Viene di conseguenza affermato che
è da considerare quale naturale conseguenza della cancellazione della società
la ripercussione dei rapporti debitori ancora pendenti nella sfera giuridica
dei soci, al pari di quello che avviene con la fusione.
Dopotutto, che con la
cancellazione si verifichi un fenomeno successorio lo dice la stessa norma di cui all'art. 2495 cod. civ.
Con
riferimento ai limiti della responsabilità dei soci nelle società di capitali, é noto che i soci stessi rispondono intra vires, rectius nei limiti dei riparti di cui al
bilancio finale di liquidazione, a mio avviso, pur sempre ammesso che sia stato regolarmente formato.
I diritti nei confronti della società si prescrivono in un anno a
decorrere dall'iscrizione in CCIAA della cancellazione, realizzando in questo modo
un parallelismo tra la disciplina della cancellazione delle societá e gli
effetti processuali della morte della parte, secondo la disciplina prevista
dall'art. 303 c.p.c.
Invece, relativamente alle situazione attive
(attivi non liquidati e sopravvenienze attive), pendenti al momento della
cancellazione della società dal registro delle imprese, è ragionevole ipotizzare che la titolarità dei beni e dei diritti
residui o sopravvenuti rientri in un regime di contitolarità o di comunione
indivisa tra i soci.
Per concludere, dopo la cancellazione, i debiti
si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti dei riparti percepiti a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che i soci fossero o meno
illimitatamente responsabili per i debiti sociali.
Ferma in ogni caso la responsabilità illimitata del liquidatore che abbia colpevolmente omesso o ignorato un debito della società.
Si trasferiscono altresì ai
soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni
non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche
le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di
credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in
detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o
extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente
di ritenere che la società vi abbia rinunciato.
Sotto il profilo processuale, invece, la società
cancellata cessa di esistere e, conseguentemente, non può quindi essere parte
processuale attiva o passiva.
Qualora la cancellazione della società dal registro delle imprese intervenga in
pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento
interruttivo del processo, disciplinato dagli artt. 299 e seguenti
c.p.c., con facoltà di proseguire o riassumere il procedimento nei confronti o
da parte dei soci.
Si può quindi concludere che i dubbi interpretativi in relazione alla norma di cui all'art. 2495 cod. civ. sono stati definitivamente dissipati, con buona pace di tutti gli operatori del diritto.
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