C'è la crisi, e le imprese nostrane faticano a pagare
Stato e fornitori.
E così anche il sottoscritto, come tanti colleghi, è
subissato dalle richieste di chi, allettato dalle prospettive introdotte dal
nuovo concordato preventivo di cui al decreto sviluppo, D.L. 83/2012,
definitivamente convertito con Legge 134/2012, vorrebbe alleggerire la
pressione dei creditori e tirare un po' il fiato.
Ma se all'apparenza, all'occhio inesperto, le innovazioni apportate possono sembrare delle
prospettive utili per l'imprenditore in affanno, nella realtà si è verificato
che, nella maggior parte dei casi, la proposizione della richiesta di concordato,
a seguito del facelift, si è rivelata una vera e propria autodenuncia di
fallimento.
La ragione è molto semplice. Rispetto al previgente art. 161 L.F., la novità
principale è rappresentata dal fatto che l'imprenditore può oggi presentare
domanda di concordato in bianco, depositando solo il ricorso, potendo
depositare il piano di ristrutturazione economico-finanziaria e la relazione dell'esperto contabile in un secondo momento.
Il debitore, oggi, nel momento in cui deposita il ricorso, può
immediatamente godere di tutte le protezioni proprie del concordato preventivo
e, quindi, con la sola proposizione del ricorso le azioni di recupero dei
crediti vengono congelate.
Ma non solo. L'impresa può anche proseguire la
propria attività aziendale ed i nuovi fornitori sarebbero in teoria garantiti
dal fatto che i loro crediti acquistano la natura di crediti in prededuzione e
quindi con il grado massimo di privilegio in sede di riparti e pagamenti.
Il Legislatore di tal guisa ha voluto trasformare la
vecchia procedura di concordato, tutta incentrata sulla liquidazione del
patrimonio aziendale e finalizzata unicamente al pagamento dei creditori, in una procedura di
ristrutturazione aziendale, come quella prevista dal Chapter 11 della
legislazione americana, finalizzata invece al superamento della crisi d'impresa.
Vi lascio immaginare come l'imprenditore in crisi,
venga letteralmente accecato dalla prospettiva di essere autorizzato dal
Tribunale a congelare i propri debiti e a rimandare i pagamenti, senza dover
al contempo procedere alla liquidazione e, quindi, alla chiusura della propria
azienda.
Nulla di più errato e dannoso. Se non vi sono delle liquidità per poter far
fronte ai propri debiti, con i quali prima o poi bisognerà confrontarsi, è
meglio non prendere neppure in considerazione l'accesso a tale procedura, che
si rivelerebbe un clamoroso e doloroso autogol.
Infatti, se soldi liquidi non ve ne
sono, la probabilità che la domanda di concordato in bianco si trasformi in
un'autodenuncia di fallimento sono elevatissime.
Ricordo che ancor prima
dell'entrata in vigore della nuova normativa mi contattò un imprenditore che
smaniava dalla voglia essere tra i primi a sperimentarla.
Indovinate incontro a quale destino è andato in contro
questo speranzoso pioniere del concordato in bianco, che mi disse di non potersi
permettere neppure il costo da me preventivato (vi assicuro modesto) per un
parere illustrativo iniziale.
Infatti, nella prassi avviene che, presentato il ricorso, il Tribunale nei 60/120 giorni successivi vuole vedere sia il
piano di ristrutturazione economico-finanziario che la documentazione
giustificativa così come anche un piano dettagliato contenente la
descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta
concordataria.
Il tutto integrato dalla relazione di un
professionista, designato dal debitore, in possesso dei requisiti di
indipendenza ed iscritto nel registro dei revisori legali, che attesti la
veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo.
Tale documentazione deve essere depositata entro
60/120 giorni dal deposito della domanda di concordato in bianco, termine
prorogabile di 60 giorni per giusta causa. Il termine è di 60 giorni nel caso in cui sia
già stata presentata istanza di fallimento e sia pendente la procedura
prefallimentare.
Se in questo lasso di tempo l'imprenditore volesse
mutare indirizzo alla soluzione della crisi, potrebbe farlo avvalendosi dello
strumento dell' accordo di ristrutturazione del debito ex art. 182 bis L.F. di
cui, su richiesta dei lettori, si potrà parlare in futuro.
Attenzione. Qualora il termine fissato decorra
inutilmente o il piano non sarà ritenuto fattibile, l'autorità giudiziaria
potrà procedere, previa convocazione del debitore, alla dichiarazione di
inammissibilità della richiesta di concordato e, in presenza dei presupposti di cui all'art. 1 L.F., al
fallimento.
Dopotutto,
nel concordato, la valutazione di convenienza spetta esclusivamente al comitato
dei creditori, ai quali solo compete di valutare la preferibilità della
soluzione concordataria rispetto alla liquidazione fallimentare.
Peraltro, se è
vero che il giudice delegato non dispone più del potere di valutare la
convenienza della proposta, egli può comunque arrestare il procedimento, anche
prima del giudizio di omologazione qualora la proposta sia
illegittima e, quindi, inammissibile.
Ma non è tutto. Il controllo sulla ritualità della proposta
concordataria deve essere effettuato dal giudice delegato e può esplicarsi
anche prima dell'acquisizione del parere del comitato dei creditori, qualora
tale ultimo passaggio si riveli del tutto inutile a causa della illegittimità
della proposta stessa.
Alla luce di quanto sopra, è evidente che, prima di
farsi accecare dalle prospettive offerte dal concordato in bianco, si disponga
della liquidità necessaria per pagare almeno del 30/50% dei debiti.
Diversamente, evitate di farvi autogol andando a
depositare un ricorso per concordato in bianco.
Il rischio è quello di andare
in contro alla dichiarazione di fallimento.
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