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domenica 14 aprile 2013

Forse la parola fine sull'annosa questione degli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese - Commento alle Sentenze della Corte di Cassazione n. 6070 e 6072/2013


Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con le sentenze gemelle (eterozigote) n. 6070/2013 e 6072/2013, hanno forse scritto la parola fine sulla annosa questione degli effetti sui rapporti giuridici di una società ancora in essere al momento della cancellazione dalla CCIAA.

In particolare, la Suprema Corte ha definito i destini dei rapporti debitori, creditori e processuali.

Secondo la massima elaborata, qualora all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio.

Il primo corollario di tale principio è che le obbligazioni della società cancellata si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali.

Il secondo corrollario è che si trasferiscono altresì ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non contemplati nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, anche se azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto la prosecuzione della fase di liquidazione. 

Con la conseguenza che il mancato espletamento da parte del liquidatore delle attività necessarie al recupero di dette poste attive equivale ad un atto di rinuncia della societá.

Sotto il profilo processuale, invece, la cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società impedisce che la stessa possa agire o essere convenuta in giudizio.

Se l’estinzione della società cancellata dal registro delle imprese interviene, quindi, in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dagli articoli 299 e segg. c.p.c., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci.

Ove invece l’evento estintivo non sia stato eccepito nei tempi e nei modi di cui agli artt. 299 e seguenti c.p.c., l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve essere promossa, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti.

Come noto, infatti, a seguito della riforma del diritto societario, di cui al D.Lgs. n. 6/2003, la questione degli effetti della cancellazione di una societá dal registro delle imprese è stata al centro di un acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale,

La problematica della cancellazione della società era già stata in numerose pronunce affrontata dalla giurisprudenza, che aveva  avevano sottolineato i rilevanti limiti dell'art. 2495 cod.civ. 

La norma in esame, disciplinando gli effetti della cancellazione delle società di capitali dal registro delle imprese, dispone che, approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese. 

Ferma restando l'estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. 

La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l'ultima sede della società. 

I dubbi interpretativi nascevano dal fatto che la cancellazione produce senz’altro l’effetto estintivo della società, salvo la prova della continuazione di fatto dell'impresa, da cui puó tutt'al più scaturire la procedura di cancellazione della cancellazione.

Si trattava allora di definire, secondo una lettura sistematica e razionale della norma, le effettive conseguenze che potevano derivare in ordine ai rapporti già in capo alla società estinta, ma pendenti al momento della cancellazione, in quanto trascurati o sopravvenuti.

Nell'esegesi applicativa della norma, la giurisprudenza si era convinta del fatto che il legislatore, elaborandone la ratio, non avrebbe potuto mai volere, come conseguenza naturale della cancellazione, l'estinzione dei rapporti passivi. 

Una simile scelta avrebbe penalizzato ingiustificatamente i creditori sociali insoddisfatti al momento della formalità di cancellazione. 

Pertanto, la naturale conseguenza della mancata estinzione delle posizioni creditorie doveva per forza di cose essere il passaggio dei debiti insoddisfatti, alla data di cancellazione della società, in capo ai successori dell’ente, configurando di tal guisa un’ipotesi di successione inter vivos. 

Infatti, la ratio da perseguire risiede nell’intento di impedire che la società debitrice possa, con un proprio comportamento unilaterale, che sfugge al controllo del creditore, negare a quest’ultimo il suo diritto di credito. 

Tuttavia un siffatto risultato si può realizzare appieno solo se si riconosce che i debiti non liquidati della società estinta si trasferiscono ipso iure in capo ai soci, salvo i limiti di responsabilità patrimoniale codificati dall'2495 cod. civ. 

Viene di conseguenza affermato che è da considerare quale naturale conseguenza della cancellazione della società la ripercussione dei rapporti debitori ancora pendenti nella sfera giuridica dei soci, al pari di quello che avviene con la fusione. 

Dopotutto, che con la cancellazione si verifichi un fenomeno successorio lo dice la stessa norma di cui all'art. 2495 cod. civ.

Con riferimento ai limiti della responsabilità dei soci nelle società di capitali, é noto che i soci stessi rispondono intra vires, rectius nei limiti dei riparti di cui al bilancio finale di liquidazione, a mio avviso, pur sempre ammesso che sia stato regolarmente formato.

I diritti nei confronti della società si prescrivono in un anno a decorrere dall'iscrizione in CCIAA della cancellazione, realizzando in questo modo un parallelismo tra la disciplina della cancellazione delle societá e gli effetti processuali della morte della parte, secondo la disciplina prevista dall'art. 303 c.p.c.

Invece, relativamente alle situazione attive (attivi non liquidati e sopravvenienze attive), pendenti al momento della cancellazione della società dal registro delle imprese, è ragionevole ipotizzare che la titolarità dei beni e dei diritti residui o sopravvenuti rientri in un regime di contitolarità o di comunione indivisa tra i soci. 

Per concludere, dopo la cancellazione, i debiti si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti dei riparti percepiti a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che i soci fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali.

Ferma in ogni caso la responsabilità illimitata del liquidatore che abbia colpevolmente omesso o ignorato un debito della società.

Si trasferiscono altresì ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato.

Sotto il profilo processuale, invece, la società cancellata cessa di esistere e, conseguentemente, non può quindi essere parte processuale attiva o passiva. 

Qualora la cancellazione della società dal registro delle imprese intervenga in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dagli artt. 299 e seguenti c.p.c., con facoltà di proseguire o riassumere il procedimento nei confronti o da parte dei soci.

Si può quindi concludere che i dubbi interpretativi in relazione alla norma di cui all'art. 2495 cod. civ. sono stati definitivamente dissipati, con buona pace di tutti gli operatori del diritto.

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