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giovedì 26 dicembre 2013

MK&PARTNERS Адвокат в Италии: Tutela dei lavoratori: mobbing e straining, cosa sono e come ci si difende dagli abusi sul posto di lavoro


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Chi di Voi non ha mai sentito parlare di mobbing, alzi la mano!

Ormai questo vocabolo è entrato con forza a far parte del vocabolario, ma, stranamente, non della legislazione italiana

Tutti ne parlano, i casi di mobbing, anche sistematici, sono all'ordine del giorno, ma il Legislatore Italiano, ad oggi, non ha ancora pensato di disciplinare, una volta e per tutte, la condotta umana consistente in un insieme di comportamenti violenti ed intimidatori perpetrati nel mondo del lavoro.

Per fortuna, in soccorso dei lavoratori è da tempo intervenuta la Giurisprudenza, che, con diverse pronunce, ha qualificato con estrema precisione la peculiarità del mobbing.

Secondo la ricostruzione dei Giudici, gli elementi costitutivi del mobbing, al di là delle condotte integrative, non tipizzabili in astratto, in quanto tutte sussumibili nel concetto di cannibalismo sociale, sono:

1)    il disegno doloso/strategia;

2)    lo scopo della condotta/evento illecito e le conseguenze dannose sul lavoratore;

3)    La strategia persecutoria, vale a dire il progetto finalizzato all'estromissione dal contesto lavorativo e del successivo allontanamento del lavoratore mobbizzato, che, venendosi a trovare in una posizione di debolezza psicofisica ed in uno stato di frustrazione psicologica, si troverà costretto ad andarsene.

Tuttavia, il mobbing sussiste anche nel caso in cui il lavoratore non ceda alle pressioni e non rassegni le proprie dimissioni.

Infatti, ciò che rileva è la commissione di reiterate condotte aventi caratteristiche oggettive di  persecuzione e discriminazione risultanti, specificamente, da una connotazione emulativa e pretestuosa, principio, questo, consacrato dalla Sentenza n. 1100/2011 della Corte d’Appello di Firenze.

Inoltre, poiché il mobbing si realizza tanto a livello verticale (e, quindi, dirigenziale o di vertice) che orizzontale (e, quindi, tra lavoratori appartenenti allo stesso livello contrattuale), anche in assenza di dolo del datore di lavoro può, comunque, sussistere una responsabilità imprenditoriale ex art. 2087 cod. civ. e, quindi esclusivamente a livello civilistico, sotto il profilo della culpa in eligendo ed in vigilando, e ciò per aver omesso di adottare quei controlli necessari per scongiurare il prodursi della persecuzione ai danni del lavoratore.

Il mobbing orizzontale è stato per la prima volta riconosciuto dalla Corte di Cassazione, che, con Sentenza n. 12735/2008, ha sanzionato il datore di lavoro per le vessazioni perpetrate su un lavoratore ad opera di pari grado, e ciò all’insaputa dei vertici societari (vd. Cass. 12735/2008).

Ma non è tutto. Non c'è mobbing senza danno. Vale a dire che per la sussistenza dell'illecito di mobbing, gli atti di cannibalismo sociale devono produrre un qualche effetto dannoso sulla vittima.

Il danno risarcibile è, a seguito della più recente giurisprudenza, il danno esistenziale e non solo più il danno biologico.

Infatti, limitare il danno risarcibile al solo danno biologico avrebbe ulteriormente pregiudicato il lavoratore, che avrebbe ottenuto il risarcimento dei danni solo per la malattia effettivamente sofferta.

Al contrario, la più recente giurisprudenza riconosce al lavoratore anche il risarcimento di tutti i pregiudizi sofferti, quand’anche non degenerino in una vera e propria patologia psicofisica, ma siano atti a produrre riflessi negativi e deteriori sulla qualità della vita della vittima.

Il mobbing, infatti, non causa necessariamente depressioni o ansie, ma sovente accade che la vittima di mobbing, particolarmente forte, non si ammala, ma, comunque, subisce un disagio o sviluppa un atteggiamento di rinuncia alla vita, che nelle forme più gravi e nei soggetti più predisposti assume la forma di patologia.

Tuttavia, il vero elemento di difficoltà nel mobbing è la prova.

Il lavoratore deve dimostrare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del mobbing, sopra elencati e, quindi, 1) la strategia, 2) lo scopo e 3) l'evento dannoso, come diretta conseguenza della condotta lesiva subita.

Impresa ancor più ardua  nell’ipotesi in cui gli autori materiali delle vessazioni non fossero un unico soggetto, ma più persone, come spesso avviene.

Senza considerare il fatto che, essendo lo scopo del mobbing proprio l’emarginazione e l'estromissione innaturale del lavoratore dall’ambiente di lavoro e dalla propria posizione lavorativa, sarà molto difficile ricorrere alle testimonianze dei colleghi di lavoro.

Di recente, la Giurisprudenza, conscia della difficoltà dell’onere della prova a carico del lavoratore vessato, ha elaborato una forma di mobbing attenuata, definita straining.

E’ vittima di straining chi viene pesantemente emarginato e vessato sul luogo di lavoro, con condotte non sussumibili nel vero e proprio cannibalismo sociale e, quindi, nel mobbing.

Anche in casi di attacchi minori, tuttavia, come si evince dalla Sentenza n. 28603/2013 della Corte di Cassazione, i responsabili devono essere sanzionati e la vittima deve essere risarcita.

Lo straining è una forma di mobbing attenuata, che si concretizza in una concatenazione di comportamenti discriminatori ai danni del lavoratore, quali la sottrazione di responsabilità in favore di altro dipendente, ingiustificatamente favorito dai dirigenti, le ingiuste ed aspre critiche alla professionalità del lavoratore, la convocazione di un incontro intersindacale finalizzato a criticare la condotta del dipendente, proprio nel periodo in cui si era messo in ferie per riprendersi dalle dure critiche ricevute dai superiori, l'estromissione dal servizio di cui si era occupato, con il successivo inserimento in mansioni dequalificanti.

Anche tali questi episodi, seppur non configurano una vera e propria persecuzione, sono idonei a produrre  la grave lesione dei diritti del lavoratore, il quale viene estromesso dalle proprie funzioni abituali ed alle mansioni prima assegnategli, per un periodo di tempo superiore a 40 giorni.

Avete visto, quindi, come la Giurisprudenza negli anni abbia costruito una disciplina sanzionatoria quasi completa, che punisce severamente il datore di lavoro che cerchi di aggirare gli strumenti legali di tutela del lavoratore, mediante atteggiamenti violenti ed intimidatori.

E’ inspiegabile, invece, il silenzio del Legislatore Italiano, che da ulteriore prova di non tenere in nessuna considerazione i diritti del lavotare.


Gli esperti giuslavoristi di Mk&Partners sono da anni impegnati, con la propria attività forense, a coadiuvare la giurisprudenza nell’ampliamento della tutela dei diritti dei lavoratori così bistrattati nel nostro ordinamento giuridico.

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domenica 15 dicembre 2013

MK&PARTNERS Адвокат в Италии: Padri separati - la Giurisprudenza li condanna alla povertà?

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Il divorzio ha un costo sociale altissimo, che per molte persone, in tempi di crisi, diventa insostenibile.

Purtroppo, l'esercito dei nuovi poveri ha arruolato tantissimi padri separati o divorziati, che non riescono più a far fronte alla moltiplicazione di spese, di cui la crisi familiare è causa.

Una persona, con un reddito netto anche di € 1.000,00 al mese, a seguito della crisi familiare, è spesso destinata ad andare incontro ad altissime difficoltà, se non proprio ad arrivare alla soglia della povertà.

Certo se si mettono al mondo i figli, bisognerà poi mantenerli ed, infatti, nel nostro ordinamento giuridico è previsto all'art. 148 cod. civ. l'obbligo di legge al mantenimento economico della prole secondo le proprie possibilità economiche, obbligo esteso anche in favore del coniuge sia in costanza di matrimonio sia, se il Tribunale lo prevede, a seguito della separazione o del divorzio.

La violazione di tale obbligo è penalmente sanzionata ex art. 570 c.p., che punisce la violazione dell'obbligo di assistenza familiare.

Ne consegue che, almeno nei confronti dei figli, è di fatto impossibile sottrarsi a tale obbligo, fatta salva la prova della povertà, nel qual caso il padre separato potrà essere esentato dal dovere di versare un assegno di mantenimento alla prole minorenne, come da ultimo stabilito dalla Corte di Cassazione con la Sentenza n. 48459/2013.

Una busta paga leggera, anche se inferiore ad € 1.000,00, non autorizza certo il padre a non provvedere al mantenimento della prole.

Anzi, il reato non è escluso neppure se il padre, dimostrando buona volontà, ha corrisposto acconti sulla maggior somma stabilita dal Tribunale Civile.

Anche in presenza di pagamenti parziali, per la Giurisprudenza, il marito separato si sottrae volontariamente all'obbligo di fornire alla prole i mezzi per la sussistenza.

L'unica esimente è solo ed esclusivamente lo stato di povertà. Il padre separato, in poche parole, deve fornire la prova di un vero e proprio stato di indigenza, in quanto le difficoltà economiche, seppur gravi ed oggettive, da sole non bastano.

In ogni caso, la Giurisprudenza non è univoca sul punto ed esiste un contrasto giurisprudenziale molto profondo, soprattutto tra i Giudici di merito (Tribunali e Cordi d'Appello) e Corte di Cassazione.

Dopotutto, anche Mk&P ritiene che vada operato un serio bilanciamento di interessi in queste fattispecie, che deve investire, da un lato, il diritto della prole ad essere mantenuta, conformemente a quanto previsto dall'art. 148 cod. civ., e, dall'altro lato, l'integrità della persona umana e la dignità dell'uomo.

Un uomo non deve essere ridotto alla povertà, ma la Giurisprudenza, prima che la situazione degeneri, deve mediare tra i coniugi litigiosi e valutare se il coniuge tenuto al mantenimento si stia colpevolmente sottraendo ai propri obblighi o se, invece, adempiendo ai propri obblighi rischi di andare incontro ad un serio momento di difficoltà.

Nel qual caso, bisogna, ad avviso di chi scrive, continuare a tutelare il diritto dei figli al mantenimento, senza, tuttavia, andare a mortificare la persona di un padre in difficoltà economiche.

Certo, Mk&P, che è dotato di un brillantissimo dipartimento di diritto di famiglia, è ben consapevole del fatto che molti uomini, finita l'unità familiare, tendono a dimenticarsi dell'obbligo di mantenimento della prole. 

Molti uomini, ma non tutti e, soprattutto, una netta minoranza che getta ombre su un esercito di padri, che invece affrontano una guerra quotidiana, per cercare di superare i mille ostacoli che la crisi familiare frappone tra loro ed il rapporto con i propri figli, che non sono solo di natura economica.

Un uomo con un reddito di € 1.000,00, che perde il godimento della casa familiare a favore della moglie e deve mantenere due figli, sicuramente non avrà una vita facile, dovendo egli, da quello stipendio, reperire le risorse per trovarsi un alloggio, mantenere sé stesso, la prole, pagare spese e bollette e, magari, anche il 50% del mutuo dell'allora casa coniugale.

In questi casi servirebbero delle soluzioni alterinative ed elastiche, per evitare situazioni di squilibrio sociale ed il prodursi di nuovi poveri. 

Sicuramente, non può essere equiparato un padre in difficoltà ad un padre, che, pur avendo le risorse, si sottrae all'obbligo di mantenimento della prole, magari nascondendo i propri redditi.

 
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sabato 14 dicembre 2013

MK&PARTNERS Адвокат в Италии: Separazione e divorzio - chi si prenderà il cane? L'affidamento degli animali entra tra i provvedimenti provvisori ed urgenti

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Ed alla fine la Giurisprudenza, nella specie il Tribunale di Milano - Sez. IX Civile, ha deciso anche di occuparsi del destino dei nostri amici a quattro zampe nella crisi familiare.

Nella separazione e divorzio oggi entrano, quindi, in scena i rapporti di affezione con gli animali domestici.

L'animale, essendo stato già da tempo assurto al grado di essere senziente, come peraltro sancito dal Trattato di Lisbona del 2007, gode di diritti inviolabili, con la conseguenza che il Giudice della separazione - o del divorzio - deve necessariamente tenere in considerazione, oltre alla collocazione ed alla regolamentazione dei diritti dei figli, anche i diritti di fido.

Viene di fatto riconosciuto alla coppia in crisi un vero e proprio diritto soggettivo sull'animale da compagnia ed, in sede di separazione, nel caso di presenza nella casa familiare di un animale domestico, il Giudice dovrà ora stabilire a quale dei coniugi affidare l'animale.

Ma chi vincerà l'affidamento di Fido? Il criterio è molto semplice.

Prevale l'interesse morale e materiale del minore a mantenere il rapporto affettivo con l'animale di compagnia. In parole semplice, il cane non segue il padrone, ma, nel caso in cui ci siano, i figli minori.

E siccome gli animali costano, il Tribunale si è anche pronunciato sulle spese di mantenimento, che seguono l'usuale ripartizione tra ordinarietà (a carico del coniuge affidatario della minore) e straordinarietà (a carico di entrambi i coniugi).

Ma se non vi sono figli minori, invece, chi si terrà il nostro Fido?

In questo caso, il Giudice dovrà affidare l'animale al coniuge con cui l'animale ha il rapporto più stretto ed intenso.

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martedì 19 novembre 2013

MK&PARTNERS Адвокат в Италии: «ВКонтакте» заблокировали на территории Италии



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Кинокомпания Medusa Film, входящая в холдинг Mediaset бывшего премьер-министра Италии Сильвио Берлускони, добилась судебного постановления о блокировке на территории Италии сайта социальной сети «ВКонтакте». 

Главная страница соцсети vk.com 18 ноября появилась в списке заблокированных по решению суда сайтов публикуемом на сайте Observatorio Censura.

Указанный фильм «Солнце льет как из ведра» (Sole a catinelle) действительно был размещен в социальной сети, однако на момент написания этой заметки поиск во «ВКонтакте» по названию фильма выдавал только ссылку на его трейлер.

Пользователи «ВКонтакте» из Италии подтверждают факт блокировки соцсети некоторыми провайдерами. 

В то же время, как отмечается, с помощью мобильного телефона зайти на сайт все еще возможно.

18 ноября также стало известно о частичной блокировке «ВКонтакте» в России. 

Доступ к интернет-сайту был ограничен «Ростелекомом». Представители компании сообщили, что решение о блокировке было вынесено Лефортовским районным судом города Москвы, однако, что послужило причиной блокировки, не уточнили.

Решение суда уже витало в воздухе долгое время, потому что незаконно свободно распространять материалы, попадающие под авторские права, без выплаты авторского вознаграждения. В конце концов, уже много лет назад музыканты и авторы видео были разгневаны YouTube. 


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domenica 10 novembre 2013

MK&PARTNERS Адвокат в Италии: La vendetta della suocera - secondo atto: la casa coniugale in comodato deve essere restituita al proprietario che ne faccia richiesta anche se assegnata dal Tribunale al coniuge affidatario della prole


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Quando l'immobile concesso in comodato da un terzo venga assegnato in godimento al coniuge ed alla prole a seguito di separazione, l'assegnazione non può protrarsi per tutto il tempo necessario a soddisfare le esigenze familiari. 

Infatti, quando il bene immobile oggetto di comodato sia stato destinato ad abitazione della famiglia, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa ad uno dei coniugi resta regolato dalla disciplina del comodato, negli stessi limiti che segnavano il godimento da parte della comunità domestica, nella fase fisiologica della vita matrimoniale.  

Ne consegue la piena applicabilità dell'art. 1810 cod. civ. in caso di comodato a tempo indeterminato.

Secondo la suddetta norma, ove il comodato sia stato concluso senza determinazione di durata, il coniuge assegnatario è tenuto, quale comodatario, a restituire il bene non appena il comodante lo chieda. 

E ciò a maggior ragione se il comodante non è una persona fisica (ad esempio, genitore o parente dell'ex coniuge), ma una società. 

La sentenza in commento ribadisce l'orientamento maggioritario della giurisprudenza, secondo cui il bene immobile di proprietà di un terzo che, quale precedente casa coniugale, sia stato assegnato al coniuge affidatario della prole, deve comunque essere restituito al legittimo proprietario, il quale ne faccia richiesta ex art. 1810 cod. civ.

Tale risultato tutela i diritti e l'affidamento dei terzi, e penso soprattutto ai genitori di uno dei coniugi,  che non devono vedere compresso il proprio diritto di proprietà, in ragione della crisi coniugale.

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Crisi di coppia: il marito fedifrago e violento risponde sempre della propria condotta con l'addebito della separazione anche se la moglie si è vendicata, denigrandolo di fronte alla prole

Quando una coppia scoppia le colpe non sono mai da una parte sola.  

Ma quando il giudice deve addebitare una separazione, deve pur sempre compiere una valutazione comparativa del comportamento dei due coniugi, pesando quale dei comportamenti è il più grave.

Infatti, al Tribunale è sempre richiesto di valutare quale dei comportamenti tipici della casistica in materia di crisi familiare è quello determinante, e cioè passibile di essere punito con l'addebito.

Spesso di fronte al Giudice compaiono un marito che ha tenuto un comportamento violento ed ha tradito la moglie e, naturalmente, proprio quest'ultima che, a sua volta, si è vendicata, denigrando il marito nei confronti dei figli per provocare in loro un odio nei confronti del padre.

Secondo la Corte di Cassazione (sentenza 14 ottobre 2013, n. 23236), in questi casi, è legittimo l'addebito della separazione al marito violento e fedifrago e non alla moglie che con un atteggiamento rigido e vendicativo lo abbia denigrato agli occhi del figlio per provocare odio nei suoi confronti.

Alla moglie, infatti, in una siffata ipotesi non sarebbe ascrivibile alcuna volontaria violazione degli obblighi nascenti dal matrimonio, avendo la stessa solo reagito alle violazioni commesse dal marito, il quale, invece, ha violato il vincolo coniugale, assumendo un comportamento aggressivo e violento nei confronti sia della moglie sia dei figli e coltivando una relazione extraconiugale con un'altra donna, il che aveva determinato la rottura del rapporto coniugale. 

In questi casi, la comparazione dei comportamenti dei coniugi deve portare ad una motivata valutazione di merito sfavorevole al marito. 

Certo un atteggiamento unilaterale ed eccessivamente rigido di un coniuge teso a squalificare l'altro coniuge agli occhi dei figli e a provocare negli stessi odio nei confronti del genitore, in re ipsa, sopratutto se protratto per lungo tempo nel corso del rapporto matrimoniale, rappresenta in una violazione degli obblighi del genitore nei confronti dei figli di cui all'art. 147 cod. civ., oltre che una grave violazione dell'obbligo nei confronti dell'altro coniuge. 

Ma ciò, si ribadisce, solo se una siffatta condatta dovesse essere ingiustificata e priva di cause scatenanti.

Se al contrario, essa si inserisce in un contesto di tradimenti ed abusi, non può in alcun modo essere causa di addebito, oltre che di risarcimento del danno, e deve essere, se non giustificata, quanto meno compresa. 

 

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Le pillole di Rex Law: per il reato di bancarotta semplice per omessa presentazione dell'istanza di fallimento in proprio deve essere provata la colpa grave dell'imprenditore

Come noto, tra gli elementi integrativi del reato di bancarotta semplice vi è il mancato deposito dell'istanza di fallimento in proprio, a seguito della quale si sia aggravato il dissesto finanziario dell'azienda in crisi.

Secondo la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 43414/2013, sotto il profilo psicologico è richiesta quanto meno la prova della colpa grave per la commissione del reato.

La gravità della colpa non può ritenersi presunta, laddove il fallimento non sia tempestivamente richiesto dall’imprenditore in stato di insolvenza ed una diversa soluzione apparirebbe per un verso priva di ragionevolezza, oltre a non trovare giustificazione alcuna dal dettato normativo.


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domenica 27 ottobre 2013

La normativa Anti-Femminicidio - novità legislative e prospettive applicative e di successo

E' finalmene stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la normativa speciale emanata in tema di femminicidio a causa della inarrestabile strage quotidiana di donne innocenti, vittime dell'orco che troppo spesso si nasconde nel focolare domestico.

Gli specialisti di Mk&Partners sono da anni in prima linea tanto nella difesa delle donne vittime di violenze quanto dei compagni vittime di calunnia da parte di ex inviperite.

Non si può tacere sul fatto che, purtroppo, l'emanazione di una normativa speciale in materia si è resa necessaria a causa del malfunzionamento della giustizia e delle difficoltà da parte dei magistrati di applicare la normativa vigente,

E ciò proprio perché in Italia la fa da padrone un eccessivo garantismo, che trasforma, agli occhi dell'opinione pubblica, le vittime in carnefice. 

Su questo blog non si fa politica, ma un giurista intellettualmente onesto non può esimersi dal denunciare i danni sociali dell'eccesso di buonismo e garantismo. 

Non ha senso promulgare nuove leggi, se non si è in grado di applicare il diritto vigente. 

I reati di stalking, molestie, lesioni, minacce, omicidio et similia sono già presenti nel nostro ordinamento, così come sono presenti le misure cautelari, che, tuttavia, solo in rari casi trovano puntuale applicazione.

Lo Stato di Diritto non è quello stato che necessita di legislazione emergenziale per tutelare i propri cittadini.

Basterebbe, per ogni tipo di reato, mettere da parte il garantismo, vero male del nostro sistema giudiziario, e perseguire seriamente e duramente, anche in sede cautelare, i responsabili in presenza di notizie di reato che appaiono sin da subito fondate.

D'altro canto bisogna punire seriamente i calunniatori ed i loro consulenti, che solo per screditare l'ex di turno si invetano di sana pianta denunce su fatti inesistenti. 

Non bisogna dimenticare che un recente studio del Tribunale di Roma ha svelato che oltre la metà delle denunce per maltrattamenti in famiglia è inventata, al mero fine di screditare la figura dell'ex partner.

E' solo così che si proteggono le vittime dei reati.

Che senso ha introdurre il reato di femminicidio, se poi dobbiamo confrontarci con i proclami dei nostri ministri di Interno e Giustizia, frettolosi nello svuotamento delle carceri e nello smussamento delle misure cautelari.

Alfano si duole del fatto che nel 25% dei casi il soggetto sottoposto a misura cautelare viene poi assolto. 

Ebbene, se la matematica non è un'opinione, se il 25% dei detenuti soggetto a misura cautelare è assolto alla fine del processo, vuol dire che nel 75% la misura cautelare viene a ragione adottata e che, quindi, in linea di massima il sistema funziona. 

Bisogna poi considerare che di questo 25% di casi, solo una minima parte attiene a misure cautelari restrittive della libertà personale. Le misure cautelari vanno dal carcere preventivo al divieto di frenquetazione di determinati luoghi. 

Non si vuole certo negare che di questa minima parte di persone che vengono assolte, pur essendo state sottoposte a misura cautelare, vi sono senz'altro dei casi di misure applicate con troppa fretta, ma sono la minima parte.

Lo Stato deve dire espressamente da che parte sta, perchè rebus sic stantibus è chiaro che il Governo, in persona del ministro Alfano, da un lato svuota le carceri e cerca di limitare il ricorso alle misure cautelari, ma poi emana decreti emergenziali in difesa delle donne.

Si introducono nuovi reati, ma non si puniscono gli autori perché la preoccupazione del governo è rivolta non alla difesa della popolazione, ma alla difesa dei carnefici.  

Fatta questa doverosa premessa, ecco alcune delle principali novità in relazione al contrasto alla violenza sulle donne. 

Il nuovo parametro su cui misurare aggravanti e misure di prevenzione è la relazione affettiva tra vittima e carnefice.

Rilevante sotto il profilo penale è la relazione tra due persone, a prescindere dal fatto che convivano o dal vincolo matrimoniale. 

Viene introdotta una nuova circostanza aggravante generica, applicabile al maltrattamento in famiglia e a tutti i reati di violenza fisica commessi in danno o in presenza di minorenni o in danno di donne incinte. 

Quanto all'aggravante dello stalking commesso dal coniuge, viene meno la condizione che vi sia separazione legale o divorzio. 

Aggravanti specifiche, inoltre, sono previste nel caso di violenza sessuale contro donne in gravidanza o commessa dal coniuge (anche se separato o divorziato) o da chi sia o sia stato legato da relazione affettiva. 

Se si è in presenza di gravi minacce ripetute, ad esempio con armi, la querela diventa irrevocabile, mentre rimane revocabile in tutti gli altri casi, ma la remissione può essere fatta solo in sede processuale davanti all'autorità giudiziaria, e ciò al fine di garantire la libera determinazione e consapevolezza della vittima. 

Il questore, in oltre, in presenza di denunce per percosse o lesioni (ora dfiniti come reati sentinella) può ammonire il responsabile, richiedendo altresì al Prefetto di procedere con la sospensione della patente di guida del molestatore. 

Si estende, quindi, alla violenza domestica una misura preventiva già prevista per lo stalking. 

Pur non essendo ammesse segnalazioni anonime, è garantita la segretezza delle generalità del segnalante. 

L'ammonito deve essere informato dal questore sui centri di recupero e servizi sociali disponibili sul territorio. 

In caso di flagranza, l'arresto sarà obbligatorio anche nei reati di maltrattamenti in famiglia e stalking. 

A prescindere dalll'arresto obbligatorio, la polizia giudiziaria, su autorizzazione del Pm e se ricorre la flagranza di gravi reati (tra cui lesioni gravi, minaccia aggravata e violenze), può applicare la misura dell'allontanamento d'urgenza dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.

L'aggressore potrà essere controllato attraverso il braccialetto o altri strumenti elettronici. Nel caso di atti persecutori, inoltre, sarà possibile ricorrere alle intercettazioni telefoniche. 

Da quanto precede è evidente che questa legislazione antifemminicidio, tanto sbandierata come innovativa e risolutiva, non è altro che un calderone di reati e misure già esistenti, ma non applicate in modo opportuno dai magistrati inquirenti e decidenti.

Proprio per questa ragione, se non si riscoprono i principi ispiratori del nostro ordinamento penalistico (principio di non colpevolezza e non di innocenza) e non si restituiscono alla pena tutte le sue naturali funzioni precipue (non solo rieducativa, ma anche punitiva, deterrente e neutralizzativa), nel nostro Paese non vi sarà giustizia, e questo discorso vale per tutte le vittime dei reati, incluse le donne maltrattate e uccise dall'orco che si nasconde dentro casa.

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