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venerdì 27 luglio 2012

La Cassazione dice basta ai "Falsi d'Autore". Anche metterli in vendita è reato

Secondo la Suprema Corte, risponde del reato di messa in vendita di merce contrattata il commerciante che vende prodotti con segni distintivi e marchi identici a quelli originali, anche se sui medesimi e sul materiale promozionale nel punto vendita viene esposta la dicitura "falso d'autore".

I diritti di privativa e quindi i marchi assolvono alla delicata funzione di permettere ai consumatori di identificare un prodotto e quindi la violazione di tali diritti configura ipotesi di reato contro la fede pubblica, a nulla rilevando la tutela dell'affidamento del consumatore garantita con l'avviso che si tratta di falsi e non di merci originali (vd. Sentenza 28423/2012).

Pertanto, sia i prodottori che i venditori di siffatte merci sono penalmente responsabili, naturalmente in base ai rispettivi ruoli, nulla rilevando la convinzione che il reato sussiste solo se il marchio è idoneo a ingenerare confusione tra il prodotto originale e quello contraffatto e che sia stato adeguatamente informato il pubblico dei consumatori con l'indicazione espressa della falsità del marchio.

La tutela del consumatore, debitamente informato di ciò che sta comprando secondo la Suprema Corte è irrilevante poiché l'elemento integrativo del reato è incarnato dall'introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi.

Si ribadisce che secondo la giurisprudenza, il bene giuridico protetto dalla norma penale non è l'affidamento dei consumatori, ma un bene diverso, vale a dire la pubblica fede in senso oggettivo, intesa come l'affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi che individuano le opere dell'ingegno o i prodotti industriali.

Di fatto la Corte di Cassazione risolve un problema pratico che si è creato soprattutto con la diffusione del commercio online (e-commerce), ove su molti siti impazzano i così detti falsi d'autore.

Con la sentenza in esame, di fatto viene impedito di aggirare la tutela che la legge accorda al marchio registrato, che non potrà più essere aggirato semplicemente apponendo la dicitura "falso d'autore" o dicitura analoga sul prodotto.

Infatti, la contraffazione è in re ipsa sufficiente e decisiva per la violazione del bene tutelato, determinando la necessità di scongiurare la confusione tra prodotti di marca e non e ciò a prescindere dall'idoneità a ingannare il compratore.

Repetita Juvant... no all'ipoteca per crediti inferiori agli 8.000,00 euro

Le imposte vanno pagate, ma contro l'accanimento di Equitalia nei confronti di contribuenti debitori di importi esigui nei confronti dell'Amministrazione Pubblica si è dovuta esprimere ancora una volta la Suprema Corte di Cassazione.

Con la Sentenza n. 5771/2012 la Suprema Corte ha respinto un ricorso di Equitalia che, non contenta delle precedenti pronunce a lei contrarie, ha cercato di far affermare la legittimità dell'iscrizione ipotecarie anche per crediti irrisori, tuttavia con scarso successo e rimendiando una ulteriore batosta.

Confermando la precedente decisione, già oggetto di un apprezzato commento su questo blog, è stato ancora una volta escluso che l’iscrizione di ipoteca possa essere effettuata anche per importi inferiori alla soglia minima per la quale l’agente della riscossione è autorizzato ex art. 76 del Dl 602/1973. E tale divieto opera anche per le iscirizioni effettuate prima della novella legislativa del 2010, che introduce ex lege il limite materiale degli € 8.000,00 per le espropriazioni immobiliari, con il risultato che ipoteche iscritte anche precedentemente all'entrata in vigore della predetta normativa devono essere dichiarate nulle e cancellate.

Interessante ad avviso di chi scrive è l'eventuale applicazione analogica del principio espresso dalla Cassazione ai rapporti tra privati.

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