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venerdì 2 dicembre 2011

L'Internet provider non è tenuto a "sorvegliare" le comunicazioni che transitano sulla sua rete per impedire lo scambio di file protetti da diritto d'autore


La Corte di Giustizia ha stabilito il principio secondo cui il diritto dell'Unione Europea vieta che un fornitore di accesso ad Internet sia diretto destinatario di un ordine di predisporre un sistema di filtraggio per tutte le comunicazioni elettroniche che transitano per i suoi servizi, applicabile indistintamente a tutta la sua clientela - a titolo preventivo, a sue spese esclusive e senza limiti nel tempo - al fine di identificare nella rete di tale fornitore la circolazione di file contenenti un’opera musicale, cinematografica o audiovisiva rispetto alla quale il richiedente affermi di vantare diritti di proprietà intellettuale, onde bloccare il trasferimento di file. 

Infatti, i titolari di diritti di proprietà intellettuale possono chiedere che venga emanata un'ordinanza nei confronti degli intermediari, come i fornitori di accesso a Internet, i cui servizi siano utilizzati da terzi per violare i loro diritti. 

Le modalità delle ingiunzioni sono poi disciplinate dal diritto processuale dei singoli Stati. 

Le legislazioni nazionali devono rispettare le limitazioni derivanti dal diritto dell'Unione, ed in particolare il divieto imposto dalla direttiva sul commercio elettronico di adottare misure che obblighino un fornitore di accesso ad Internet a procedere ad una sorveglianza generalizzata sulle informazioni che esso trasmette sulla propria rete. 

Sebbene, infatti, la tutela del diritto di proprietà intellettuale sia sancita dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, non può desumersi né da tale Carta, né dalla giurisprudenza della Corte, che tale diritto sia intangibile e che la relativa tutela debba essere garantita in modo assoluto.








RESPONSABILITÀ CIVILE – IL GIUDICE DEVE IMPUTARE ANCHE IN PRESENZA DI PATOLOGIE PREGRESSE DEL PAZIENTE L'INTERA RESPONSABILITA' SUL MEDICO PER POI RIDURRE IL RISARCIMENTO PROPORZIONALMENTE ALLA INCIDENZA DELLA CONDOTTA DEL MEDICO NELLA CAUSAZIONE DELL'ILLECITO

La Suprema Corte ha stabilito un interessente principio di diritto nei casi in cui la produzione di un evento dannoso (nella specie una gravissima patologia neonatale, concretatasi in una invalidità permanente del 100%) possa apparire riconducibile, sotto il profilo del rapporto "causa - effetto", alla concomitanza tanto della condotta del personale medico quanto fattore naturale rappresentato da una pregressa situazione patologica del danneggiato.

Secondo la Suprema Corte in tali casi il giudice deve in ogni caso acceertare l'efficienza eziologica della condotta rispetto all'evento e, in applicazione della regola di cui all'art. 41 c.p., ricondurre in un primo momento l’evento di danno interamente all'autore della condotta illecita.

In un successivo momento dell'inter logico, il Giudice dovrà  poi procedere, eventualmente anche con criteri equitativi, alla valutazione della diversa incidenza delle varie concause sul piano della causalità giuridica onde ascrivere all'autore della condotta, responsabile “tout court” sul piano della causalità materiale, un obbligo risarcitorio che non ricomprenda anche le conseguenze dannose non riconducibili eziologicamente all'evento di danno bensì alla pregressa situazione patologica del danneggiato (da intendersi come fortuito).

Questo principio avrà importanti conseguenze sotto il profilo risarcitorio in quanto il Giudice, in tutte le ipotesi analoghe, è tenuto in ogni caso ad ascrivere l'intera responsabilità al personale medico per poi ridurre, a seguito dell'esame delle concause eventuali, il livello della responsabilità, introducendo quindi un presunzione iuris tantum, sulla colpa del medico. Su quest'ultimo graverà quindi l'onere di provare la scarsa incidenza della sua condotta sulla produzione del danno.

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