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sabato 25 giugno 2011

La casa vacanze come corollario indispensabile per la stessa estrinsecazione della persona umana

Secondo la Suprema Corte di Cassazione (Cass. civ. Sez. III, 20/06/2011, n. 13483), la legge n. 431 del 1998, in materia di locazioni ad uso abitativo, trae la sua ratio ultima nella regolamentazione, nella sua interezza, del settore delle locazioni abitative, quale bisogno primario dell'individuo indispensabile per la stessa estrinsecazione della persona umana.

Pertanto la legge n. 431 del 1998 esaurisce interamente la disciplina di qualsivoglia contratto avente ad oggetto la concessione continuativa di un immobile da destinarsi ad abitazione.

Pertanto, anche la locazione per abitazione ad uso di seconda casa, in quanto caratterizzata dalla prospettata permanenza del conduttore per cospicui periodi dell'anno, ed anzi dalla tendenziale fruizione dell'immobile secondo le disponibilità del tempo libero del medesimo, deve in ogni caso intendersi finalizzata a soddisfare esigenze abitative certamente complementari, ma di rango uguale a quelle della prima casa, in quanto relative al tempo libero e, dunque, al soddisfacimento di interessi e passioni dell'individuo, funzionali, in quanto tali, al pieno sviluppo della sua personalità.

domenica 12 giugno 2011

Il cittadino non si può difendere in giudizio da solo se non nei casi stabiliti dalla Legge

La Suprema Corte (12570/2011) ha dichiarato inammissibile un ricorso per cassazione proposto da un cittadino, personalmente e senza il patrocinio di un legale, avverso la sentenza di appello resa in materia di opposizione a sanzione amministrativa.

L'art. 82 c.p.c., secondo la Corte Suprema, dispone in maniera chiara ed univoca che "solo" davanti al giudice di pace le parti possono stare in giudizio personalmente nelle cause il cui valore non eccede euro 516,46, mentre davanti al Tribunale ed alla Corte d'Appello le parti debbono stare in giudizio col ministero di un procuratore legalmente esercente; davanti alla Corte di Cassazione, prosegue la norma, le parti devono stare in giudizio col ministero di un avvocato iscritto nell'apposito albo. 

La norma in esame sembra confliggere, ma solo apparentemente, con il disposto di cui all'articolo 6, n. 3, lett. c) della CEDU (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali), che stabilisce il diritto della parte di stare in giudizio personalmente.

Il conflitto è solo apparente in quanto non esiste un diritto assoluto del cittadino all'autodifesa in giudizio, mentre esiste il principio della discrezionalità del legislatore nella scelta dei casi in cui è necessario il patrocinio di un difensore, principio consacrato dalla Corte Costituzionale.

La ratio di tale discrezionalità promana dalla necessità di assicurare il funzionamento dell'apparato giudiziario che non può essere portato al collasso dalla zelo di cittadini che si inventano Perry Mason magari per mere questioni di principio.

Il costo dell'accesso alla giustizia, tra cui rientra anche il costo per spese di avvocato, è un deterrente importante contro il proliferare di cause strumentali ed assicura il buon funzionamento del sistema giudiziario nel suo complesso.

Infatti, la sola prospettiva di dover pagare, oltre a contributo unificato e marche da bollo, anche un fondo spese ad un legale, costituisce una sber klausel rilevante contro cause superflue e strumentali.

sabato 11 giugno 2011

Il committente risponde dei danni arrecati a terzi dall'appaltatore solo in caso di culpa in eligendo o nel caso in cui l'appaltatore si sia limitato ad eseguire gli ordini del committente

La Corte di Cassazione torna a chiarire un principio giurisprudenziale fortemente minato da una precedente pronuncia del 2006, secondo cui il committente rispondeva dei danni provocati a terzi dall'appaltatore in tutti i casi in cui il ruolo di quest'ultimo si fosse esaurito nel cosiddetto nudus minister. 

La sentenza in esame fa seguito, sublimandone i concetti fondamentali, a numerose altre pronunce emanate dai Supremi Giudici tra il 2008 ed il 2010 con cui veniva chiarito il concetto di nudus minister.

Secondo la Suprema Corte, l'appaltatore, stante l'autonomia con cui svolge la sua attività nella esecuzione dell'opera o del servizio appaltato, risponde dei danni provocati a terzi ed eventualmente anche della inosservanza della legge penale durante la esecuzione del contratto, mentre il controllo e la sorveglianza del committente si limitano all'accertamento ed alla verifica della corrispondenza dell'opera o del servizio affidato con quanto costituisce l'oggetto del contratto.

Nel descritto contesto, una responsabilità del committente versi terzi risulta configurabile nella sola ipotesi in cui si dimostri che il fatto lesivo sia stato commesso dall'appaltatore in esecuzione di un ordine ad esso impartito dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente, ovvero quando ricorre una ipotesi di culpa in eligendo.

Affinché possa, dunque, configurarsi la responsabilità del committente si rivela necessario che questi, esorbitando dalla mera sorveglianza sull'opera oggetto del contratto, abbia esercitato una concreta ingerenza sull'attività dell'appaltatore al punto da ridurlo a mero esecutore dell'opera - nudus minister - all'uopo non rivelandosi sufficiente l'omesso esercizio del controllo nei confronti del direttore del cantiere, diretto destinatario delle norme dettate per la prevenzione degli infortuni sul lavori dei dipendenti della società appaltatrice in quanto operante per conto della stessa.

Il mediatore acquista il diritto alla mediazione solo se l'attività è svolta in modo palese

La Corte di Cassazione interviene ancora a fissare le regole del diritto del mediatore alla provvigione.

Secondo la Suprema Corte (Cass. civ. Sez. III, 07/06/2011, n. 12390), infatti, il mediatore matura il diritto alla provvigione solo se l'attività del mediatore viene svolta in modo palese, e cioè rendendo note ai soggetti intermediati la propria qualità e la propria terzietà, non essendo sufficiente che le parti abbiano concluso l'affare grazie all'attività del mediatore se non siano state messe in grado di conoscere l'opera di intermediazione svolta dal predetto e non abbiano perciò neppure potuto valutare l'opportunità di avvalersi o no della realtiva prestazione e di soggiacere ai conseguenti oneri.

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