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giovedì 26 dicembre 2013

MK&PARTNERS Адвокат в Италии: Tutela dei lavoratori: mobbing e straining, cosa sono e come ci si difende dagli abusi sul posto di lavoro


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Chi di Voi non ha mai sentito parlare di mobbing, alzi la mano!

Ormai questo vocabolo è entrato con forza a far parte del vocabolario, ma, stranamente, non della legislazione italiana

Tutti ne parlano, i casi di mobbing, anche sistematici, sono all'ordine del giorno, ma il Legislatore Italiano, ad oggi, non ha ancora pensato di disciplinare, una volta e per tutte, la condotta umana consistente in un insieme di comportamenti violenti ed intimidatori perpetrati nel mondo del lavoro.

Per fortuna, in soccorso dei lavoratori è da tempo intervenuta la Giurisprudenza, che, con diverse pronunce, ha qualificato con estrema precisione la peculiarità del mobbing.

Secondo la ricostruzione dei Giudici, gli elementi costitutivi del mobbing, al di là delle condotte integrative, non tipizzabili in astratto, in quanto tutte sussumibili nel concetto di cannibalismo sociale, sono:

1)    il disegno doloso/strategia;

2)    lo scopo della condotta/evento illecito e le conseguenze dannose sul lavoratore;

3)    La strategia persecutoria, vale a dire il progetto finalizzato all'estromissione dal contesto lavorativo e del successivo allontanamento del lavoratore mobbizzato, che, venendosi a trovare in una posizione di debolezza psicofisica ed in uno stato di frustrazione psicologica, si troverà costretto ad andarsene.

Tuttavia, il mobbing sussiste anche nel caso in cui il lavoratore non ceda alle pressioni e non rassegni le proprie dimissioni.

Infatti, ciò che rileva è la commissione di reiterate condotte aventi caratteristiche oggettive di  persecuzione e discriminazione risultanti, specificamente, da una connotazione emulativa e pretestuosa, principio, questo, consacrato dalla Sentenza n. 1100/2011 della Corte d’Appello di Firenze.

Inoltre, poiché il mobbing si realizza tanto a livello verticale (e, quindi, dirigenziale o di vertice) che orizzontale (e, quindi, tra lavoratori appartenenti allo stesso livello contrattuale), anche in assenza di dolo del datore di lavoro può, comunque, sussistere una responsabilità imprenditoriale ex art. 2087 cod. civ. e, quindi esclusivamente a livello civilistico, sotto il profilo della culpa in eligendo ed in vigilando, e ciò per aver omesso di adottare quei controlli necessari per scongiurare il prodursi della persecuzione ai danni del lavoratore.

Il mobbing orizzontale è stato per la prima volta riconosciuto dalla Corte di Cassazione, che, con Sentenza n. 12735/2008, ha sanzionato il datore di lavoro per le vessazioni perpetrate su un lavoratore ad opera di pari grado, e ciò all’insaputa dei vertici societari (vd. Cass. 12735/2008).

Ma non è tutto. Non c'è mobbing senza danno. Vale a dire che per la sussistenza dell'illecito di mobbing, gli atti di cannibalismo sociale devono produrre un qualche effetto dannoso sulla vittima.

Il danno risarcibile è, a seguito della più recente giurisprudenza, il danno esistenziale e non solo più il danno biologico.

Infatti, limitare il danno risarcibile al solo danno biologico avrebbe ulteriormente pregiudicato il lavoratore, che avrebbe ottenuto il risarcimento dei danni solo per la malattia effettivamente sofferta.

Al contrario, la più recente giurisprudenza riconosce al lavoratore anche il risarcimento di tutti i pregiudizi sofferti, quand’anche non degenerino in una vera e propria patologia psicofisica, ma siano atti a produrre riflessi negativi e deteriori sulla qualità della vita della vittima.

Il mobbing, infatti, non causa necessariamente depressioni o ansie, ma sovente accade che la vittima di mobbing, particolarmente forte, non si ammala, ma, comunque, subisce un disagio o sviluppa un atteggiamento di rinuncia alla vita, che nelle forme più gravi e nei soggetti più predisposti assume la forma di patologia.

Tuttavia, il vero elemento di difficoltà nel mobbing è la prova.

Il lavoratore deve dimostrare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del mobbing, sopra elencati e, quindi, 1) la strategia, 2) lo scopo e 3) l'evento dannoso, come diretta conseguenza della condotta lesiva subita.

Impresa ancor più ardua  nell’ipotesi in cui gli autori materiali delle vessazioni non fossero un unico soggetto, ma più persone, come spesso avviene.

Senza considerare il fatto che, essendo lo scopo del mobbing proprio l’emarginazione e l'estromissione innaturale del lavoratore dall’ambiente di lavoro e dalla propria posizione lavorativa, sarà molto difficile ricorrere alle testimonianze dei colleghi di lavoro.

Di recente, la Giurisprudenza, conscia della difficoltà dell’onere della prova a carico del lavoratore vessato, ha elaborato una forma di mobbing attenuata, definita straining.

E’ vittima di straining chi viene pesantemente emarginato e vessato sul luogo di lavoro, con condotte non sussumibili nel vero e proprio cannibalismo sociale e, quindi, nel mobbing.

Anche in casi di attacchi minori, tuttavia, come si evince dalla Sentenza n. 28603/2013 della Corte di Cassazione, i responsabili devono essere sanzionati e la vittima deve essere risarcita.

Lo straining è una forma di mobbing attenuata, che si concretizza in una concatenazione di comportamenti discriminatori ai danni del lavoratore, quali la sottrazione di responsabilità in favore di altro dipendente, ingiustificatamente favorito dai dirigenti, le ingiuste ed aspre critiche alla professionalità del lavoratore, la convocazione di un incontro intersindacale finalizzato a criticare la condotta del dipendente, proprio nel periodo in cui si era messo in ferie per riprendersi dalle dure critiche ricevute dai superiori, l'estromissione dal servizio di cui si era occupato, con il successivo inserimento in mansioni dequalificanti.

Anche tali questi episodi, seppur non configurano una vera e propria persecuzione, sono idonei a produrre  la grave lesione dei diritti del lavoratore, il quale viene estromesso dalle proprie funzioni abituali ed alle mansioni prima assegnategli, per un periodo di tempo superiore a 40 giorni.

Avete visto, quindi, come la Giurisprudenza negli anni abbia costruito una disciplina sanzionatoria quasi completa, che punisce severamente il datore di lavoro che cerchi di aggirare gli strumenti legali di tutela del lavoratore, mediante atteggiamenti violenti ed intimidatori.

E’ inspiegabile, invece, il silenzio del Legislatore Italiano, che da ulteriore prova di non tenere in nessuna considerazione i diritti del lavotare.


Gli esperti giuslavoristi di Mk&Partners sono da anni impegnati, con la propria attività forense, a coadiuvare la giurisprudenza nell’ampliamento della tutela dei diritti dei lavoratori così bistrattati nel nostro ordinamento giuridico.

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domenica 15 dicembre 2013

MK&PARTNERS Адвокат в Италии: Padri separati - la Giurisprudenza li condanna alla povertà?

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Il divorzio ha un costo sociale altissimo, che per molte persone, in tempi di crisi, diventa insostenibile.

Purtroppo, l'esercito dei nuovi poveri ha arruolato tantissimi padri separati o divorziati, che non riescono più a far fronte alla moltiplicazione di spese, di cui la crisi familiare è causa.

Una persona, con un reddito netto anche di € 1.000,00 al mese, a seguito della crisi familiare, è spesso destinata ad andare incontro ad altissime difficoltà, se non proprio ad arrivare alla soglia della povertà.

Certo se si mettono al mondo i figli, bisognerà poi mantenerli ed, infatti, nel nostro ordinamento giuridico è previsto all'art. 148 cod. civ. l'obbligo di legge al mantenimento economico della prole secondo le proprie possibilità economiche, obbligo esteso anche in favore del coniuge sia in costanza di matrimonio sia, se il Tribunale lo prevede, a seguito della separazione o del divorzio.

La violazione di tale obbligo è penalmente sanzionata ex art. 570 c.p., che punisce la violazione dell'obbligo di assistenza familiare.

Ne consegue che, almeno nei confronti dei figli, è di fatto impossibile sottrarsi a tale obbligo, fatta salva la prova della povertà, nel qual caso il padre separato potrà essere esentato dal dovere di versare un assegno di mantenimento alla prole minorenne, come da ultimo stabilito dalla Corte di Cassazione con la Sentenza n. 48459/2013.

Una busta paga leggera, anche se inferiore ad € 1.000,00, non autorizza certo il padre a non provvedere al mantenimento della prole.

Anzi, il reato non è escluso neppure se il padre, dimostrando buona volontà, ha corrisposto acconti sulla maggior somma stabilita dal Tribunale Civile.

Anche in presenza di pagamenti parziali, per la Giurisprudenza, il marito separato si sottrae volontariamente all'obbligo di fornire alla prole i mezzi per la sussistenza.

L'unica esimente è solo ed esclusivamente lo stato di povertà. Il padre separato, in poche parole, deve fornire la prova di un vero e proprio stato di indigenza, in quanto le difficoltà economiche, seppur gravi ed oggettive, da sole non bastano.

In ogni caso, la Giurisprudenza non è univoca sul punto ed esiste un contrasto giurisprudenziale molto profondo, soprattutto tra i Giudici di merito (Tribunali e Cordi d'Appello) e Corte di Cassazione.

Dopotutto, anche Mk&P ritiene che vada operato un serio bilanciamento di interessi in queste fattispecie, che deve investire, da un lato, il diritto della prole ad essere mantenuta, conformemente a quanto previsto dall'art. 148 cod. civ., e, dall'altro lato, l'integrità della persona umana e la dignità dell'uomo.

Un uomo non deve essere ridotto alla povertà, ma la Giurisprudenza, prima che la situazione degeneri, deve mediare tra i coniugi litigiosi e valutare se il coniuge tenuto al mantenimento si stia colpevolmente sottraendo ai propri obblighi o se, invece, adempiendo ai propri obblighi rischi di andare incontro ad un serio momento di difficoltà.

Nel qual caso, bisogna, ad avviso di chi scrive, continuare a tutelare il diritto dei figli al mantenimento, senza, tuttavia, andare a mortificare la persona di un padre in difficoltà economiche.

Certo, Mk&P, che è dotato di un brillantissimo dipartimento di diritto di famiglia, è ben consapevole del fatto che molti uomini, finita l'unità familiare, tendono a dimenticarsi dell'obbligo di mantenimento della prole. 

Molti uomini, ma non tutti e, soprattutto, una netta minoranza che getta ombre su un esercito di padri, che invece affrontano una guerra quotidiana, per cercare di superare i mille ostacoli che la crisi familiare frappone tra loro ed il rapporto con i propri figli, che non sono solo di natura economica.

Un uomo con un reddito di € 1.000,00, che perde il godimento della casa familiare a favore della moglie e deve mantenere due figli, sicuramente non avrà una vita facile, dovendo egli, da quello stipendio, reperire le risorse per trovarsi un alloggio, mantenere sé stesso, la prole, pagare spese e bollette e, magari, anche il 50% del mutuo dell'allora casa coniugale.

In questi casi servirebbero delle soluzioni alterinative ed elastiche, per evitare situazioni di squilibrio sociale ed il prodursi di nuovi poveri. 

Sicuramente, non può essere equiparato un padre in difficoltà ad un padre, che, pur avendo le risorse, si sottrae all'obbligo di mantenimento della prole, magari nascondendo i propri redditi.

 
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sabato 14 dicembre 2013

MK&PARTNERS Адвокат в Италии: Separazione e divorzio - chi si prenderà il cane? L'affidamento degli animali entra tra i provvedimenti provvisori ed urgenti

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Ed alla fine la Giurisprudenza, nella specie il Tribunale di Milano - Sez. IX Civile, ha deciso anche di occuparsi del destino dei nostri amici a quattro zampe nella crisi familiare.

Nella separazione e divorzio oggi entrano, quindi, in scena i rapporti di affezione con gli animali domestici.

L'animale, essendo stato già da tempo assurto al grado di essere senziente, come peraltro sancito dal Trattato di Lisbona del 2007, gode di diritti inviolabili, con la conseguenza che il Giudice della separazione - o del divorzio - deve necessariamente tenere in considerazione, oltre alla collocazione ed alla regolamentazione dei diritti dei figli, anche i diritti di fido.

Viene di fatto riconosciuto alla coppia in crisi un vero e proprio diritto soggettivo sull'animale da compagnia ed, in sede di separazione, nel caso di presenza nella casa familiare di un animale domestico, il Giudice dovrà ora stabilire a quale dei coniugi affidare l'animale.

Ma chi vincerà l'affidamento di Fido? Il criterio è molto semplice.

Prevale l'interesse morale e materiale del minore a mantenere il rapporto affettivo con l'animale di compagnia. In parole semplice, il cane non segue il padrone, ma, nel caso in cui ci siano, i figli minori.

E siccome gli animali costano, il Tribunale si è anche pronunciato sulle spese di mantenimento, che seguono l'usuale ripartizione tra ordinarietà (a carico del coniuge affidatario della minore) e straordinarietà (a carico di entrambi i coniugi).

Ma se non vi sono figli minori, invece, chi si terrà il nostro Fido?

In questo caso, il Giudice dovrà affidare l'animale al coniuge con cui l'animale ha il rapporto più stretto ed intenso.

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