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lunedì 17 dicembre 2012

Vita sempre più dura per i vicini rumorosi - la qualificazione delle condotte moleste entro la fattispecie giuridica di stalking sempre più frequente

Ancora una volta la Giurisprudenza riconosce il reato di stalking in un caso di rumori molesti in Condominio.

Questa volta è l'Ufficio del Gip del Tribunale di Milano ad allontanare il vicino rumoroso da casa propria, questa volta applicando la misura dell'allontanamento dalla casa familiare.

Anche in questo caso tutto comincia con rumori molesti, cui segue la richiesta di un po' di pace da parte delle vittime, ma, come spesso avviene, di tutta risposta i rumori non sono cessati, ma si sono al contrario intensificati, corredati da minacce ed insulti.

Di fronte a tali situazioni, in gravissimo pregiudizio del diritto alla salute costituzionalmente consacrato ex art. 32 Cost., l'ordinamento ha reagito con la opportuna severità, ritenendo applicabile la misura dell'allontanamento dalla casa familiare anche in via analogica al Condominio, e non soltanto per i reati commessi ai danni di familiari coabitanti, perché «la collocazione sistematica», e un indiretto passaggio di una sentenza di Cassazione del 2010, «ne consentono un'estensione anche per tutelare persone non coabitanti nella stessa casa».

In ogni caso, la decisione del Tribunale comprova la fondatezza e l'efficacia delle misure antirumore illustrate da Rex Law nella "guida" pubblicata su questo spazio.


sabato 24 novembre 2012

La responsabilità del socio in solido con gli amministratori nelle S.r.l.

Rexlaw si occupa oggi di un tema molto delicato e controverso, ma che ciò nonostante non è stato granché trattato dalla Giurisprudenza.

Il che a riprova del fatto che in Italia lo strumento dell'azione di responsabilità dei soci è forse addirittura sconosciuto ai più ed in ogni caso poco utilizzato.

Come noto, a seguito dell'emanazione della riforma del diritto societario del 2003, sussiste la responsabilità, in solido con gli amministratori, dei soci - naturalmente anche nell'accezione di organo collegiale, rectius assemblea - che abbiano “intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi” (codice civile, articolo 2467, comma 7)

Tale profilo di responsabilità non è concorrente con la responsabilità dell'organo amministrativo, ma si pone anzi in rapporto di sussidiarietà ed alternatività rispetto a quest'ultima, sussistendo la stessa solo in assenza di responsabilità dell'amministratore. 

Premesso che quand'anche l'atto dannoso sia stato preventivamente autorizzato dall'assemblea non può venire meno la responsabilità dell’amministratore, la norma in esame non si applica in ogni caso al socio che sia amministratore di fatto, poiché tale profilo trova la propria disciplina in altre norme. 

La fattispecie oggetto della norma in esame, infatti, non è quella dell’amministatore “di fatto”, ma quella del socio che, anche in modo sporadico ed occasionale, ponga in essere atti o comportamenti di consapevole ed informato sostegno e supporto al compimento di uno specifico atto “gestorio” da parte dell’amministratore, atto che poi arrechi danno alla società, agli altri soci o a terzi. 

Sotto il profilo psicologico, la responsabilità del socio non presuppone necessariamente il dolo, ma affinché la stessa sussista è sufficiente la colpa, rilevando la consapevolezza, da parte del socio, di sostenere un atto gestorio non direttamente teso ad arrecare danno, ma caratterizzato da alti profili di rischio. 

In tale ipotesi, ove derivi un danno alla società, ai soci o ai terzi, il socio interessato ne dovrebbe rispondere in via solidale con gli amministratori. 

Ad avviso di chi scrive invece non dovrebbe sussistere alcun responsabilità del socio nel caso in cui  l’amministratore di s.r.l. o i soci che rappresentino almeno un terzo del capitale, abbiano preventivamente deciso di sottoporre all’approvazione dell'assemblea dei soci l'atto in tal caso solo suggerito dal socio (articolo 2479, 1° comma). 

In tale ipotesi, non si comprende come si possa sostenere la responsabilità del socio proponente, qualora l’atto specificamente approvato sia produttivo di danno. 

In siffatte ipotesi, ad avviso di chi scrive, l’approvazione dell’atto dannoso dovrebbe determinare la responsabilità del socio, in solido con gli amministratori, solo nel caso in cui l'assemblea sia stata informata su tutti gli aspetti rilevanti e tale informativa risulti dai verbali di assemblea.

domenica 18 novembre 2012

La spada del D.lgs. 231/2001 anche sulla società fallita

Secondo una recentissima sentenza della Suprema Corte, sent. 44824 del 15/11/2012, le sanzioni amministrative nei confronti delle società a seguito dei reati commessi a beneficio della stessa da dipendenti e dirigenti trovano applicazione anche in caso di fallimento dell'ente.

La giurisprudenza di merito era infatti solita equiparare il fallimento alla morte del reo, fatto che come noto ai sensi e per gli effetti dell'art. 150 c.p., estingue il reato.

Tuttavia, ha rilevato la S.C., la società fallita non è da considerarsi morta, fatto che inerisce tutt'al più la società estinta e cancellata, ma in stand by.

Infatti, come rilevato da chi scrive, per un ente la "morte" è la sua cancellazione dal Registro delle imprese, che nel caso di società fallita viene effettuata su impulso del curatore fallimentare, ragione per cui in caso di fallimento non sussistono i presupposti per l'estinzione delle sanzioni ex Dlgs 231/2001.

Peraltro, lo stesso Dlgs 231/2001 non contempla il fallimento tra le cause cause estintive delle sanzioni amministrative comminate alla società, includendovi invece la prescrizione per decorso del termine di legge e prevedendo altresì l'improcedibilità nei confronti dell'ente quando sia intervenuta amnistia in relazione al reato presupposto.

Quello della Suprema Corte è l'ennesimo monito agli imprenditori ad adottare i modelli 231/2001 e ad amministrare gli enti economici in modo responsabile e saggio, controllando che in azienda tutto funzioni per il verso giusto e secondo i modelli ex D.lgs. 231/2001.

Modelli 231/2001 - niente più modifiche statutarie - sindaci e dirigenti potranno svolgere le funzioni di OdV (organismo di vigilanza)

La legge n. 183 recante cd. Legge di Stabilità per il 2012, ha profondamente novellato l'art. 6, d.lgs. 231/2001, il quale ora dispoen che "nelle società di capitali il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza e il comitato per il controllo della gestione possono svolgere le funzioni dell'Organismo di vigilanza di cui al comma 1, lettera b”.

Ne consegue che ormai e per fortuna non è più necessario apportare alcuna modifica allo statuto sociale, non essendo necessario nominare e costituire un organismo ad hoc con funzioni di OdV, ma sarà di volta in volta in base al sistema di governance prescelto, il collegio sindacale il consiglio di sorveglianza o il comitato di controllo nelle società di capitali e l'organo dirigente nell'ambito degli “enti di piccole dimensioni” a svolgere dette funzioni.

Pertanto i compiti prima attribuiti all'Organismo di Vigilanza di controllo sul funzionamento e l'osservanza dei modelli nonché del loro aggiornamento possono essere svolti direttamente dall'organo dirigente.

A mio avviso tale innovazione determinerà un maggiore ricorso degli enti all'adozione del modello 231/2001, poiché, nella prassi, molti enti erano - anche se a torto - scoraggiati proprio dalla necessità di modificare lo statuto sociale e di prevedere la costituzione di un organismo specifico, con notevoli costi a loro carico.

Tuttavia perplessità nascono dal fatto che nelle società di capitali  o nelle imprese individuali si chiede al giocatore di fare da arbitro, mentre nelle società di capitali le funzioni di controllo sull'adozione e sul funzionamento dei modelli ex d.lgs. 231/2001 vengono attribuiti ad organi con competenze contabili e non giuridiche.

In ogni caso tale semplificazione era auspicabile e chi scrive ne seguirà attentamente i risvolti pratici

domenica 14 ottobre 2012

Professional malpractice - responsabilità professionale del medico ... al paziente basta fornire la prova del danno subito

Secondo la Suprema Corte in materia di responsabilità medica vanno applicati i principi dell'inadempimento contrattuale, ragione per cui al creditore (il paziente) è sufficiente dedurre in giudizio l'inadempimento della controparte (il medico) e provare il relativo danno (art. 1218 cod. civ.).
 
Pertanto, il paziente ha solo l’onere di dimostrare il mancato raggiungimento del risultato, mentre il medico dovrà provare la corretta esecuzione della prestazione.

Pertanto, secondo tale orientamento, che trova conforto anche in recenti pronunce delle Sezioni Unite, non incomberà sul paziente l’esistenza del nesso causale tra l’attività del sanitario e la patologia insorta.
Il danneggiato è infatti tenuto a provare il contratto e ad allegare la difformità della prestazione ricevuta rispetto al modello normalmente realizzato da una condotta improntata alla dovuta diligenza.

Al debitore, presunta la colpa, incombe l’onere di provare che l’inesattezza della prestazione dipende da causa a lui non imputabile, e cioè la prova del fatto impeditivo.

Tuttavia, sempre secondo la Corte di Cassazione' l’inadempimento del medico non può essere desunto ipso facto dal mancato risultato utile che si prefiggeva il paziente, ma l'esecuzione della prestazione deve essere valutata alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale, secondo i principi generali di cui agli artt. 1175, 1176, 1375 nonchè quelli propri dell'attività medica (che rientra tra i contratti d'opera ex art. 2222 cod. civ.).

In caso di insuccesso, dunque, incombe al medico dare la prova della particolare difficoltà della prestazione.

La difficoltà tecnica rileva invece solamente ai fini della valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa riferibile al medico.

Ne consegue l'irrilevanza del nesso causale, in tale ambito, poiché in materia civile vige il principio della preponderanza dell’evidenza o del ‘id quod plerumque accidit’, mentre la prova del nesso condizionalistico - causale è propria del diritto penale.

La Corte di Cassazione dunque rafforza la tutela dei pazienti.

Il contratto preliminare di locazione generico e privo dell'indicazione del corrispettivo è affetto dalla sanzione della nullità

La Corte di Cassazione torna ad occuparsi di contratti preliminari, questa volta con una sentenza a svantaggio del principio di conservazione del rapporto contrattuale.

Infatti è da considerarsi nullo per per indeterminabilità dell’oggetto il contratto preliminare di locazione le obbligazioni di contrarre pro futuro sono generiche e manca altresì l'indicazione del canone.

Il contratto con cui una parte si impegni genericamente a stipulare un futuro contratto di locazione è infatti nullo, quando sia prospettato, in primo luogo, alternativamente che tanto possa avvenire con o senza corrispettivo e, soprattutto, quando manchi la descrizione dei beni, l’indicazione della durata e, per il caso di contratto oneroso, il corrispettivo del godimento. Infatti secondo la Suprema Corte a nulla rilevano le manifestazioni di volontà delle parti anteriori al contratto, se poi non vengono riportate nel regolamento contrattuale in maniera chiara, precisa e con apprezzabile grado di concretezza, rendendo ardua l'identificazione degli elementi essenziali del contratto.

Nelle società sussiste la legittimazione alla querela per reati societari anche del socio non danneggiato


Dibattuto è il tema della legitimazione attiva alla proposizione della querela nei reati societari.

La legge in merito all'art. 2625 comma II cod. civ. non pone alcun limite alla titolarità dei soci del diritto di presentare istanza punitiva, sulla base di una distinzione tra soci che abbiano subito un danno patrimoniale come conseguenza immediata del comportamento degli amministratori e soci che abbiano subito un pregiudizio come mero riflesso dei danni recati al patrimonio sociale. In ogni caso, sono assolutamente conformi alle risultanze processuali e a una loro razionale interpretazione le valutazioni fattuali, compiute dalla corte di merito sulla sussistenza di un diretto danno patrimoniale, subito dai querelanti, sulla ricostruzione della negativa situazione patrimoniale della società, sugli effetti nocivi della mala gestio, imputabile con certezza al B. Quanto alla tempestività delle querele, la corte ha scandito con estrema precisione la stretta correlazione tra conoscenza dei fatti, da parte dei querelanti, e la data della presentazione della correlata istanza punitiva, per cui nessuna censura è configurabile sul rispetto del termine di legge. La corte di merito ha poi rilevato, con argomentazioni del tutto incensurabili in sede di giudizio di legittimità, che le sottoscrizioni disconosciute dal presidente del collegio sindacale, R.G. (relative alla relazione, ex art. 2429 c.c., al bilancio 2002 e al verbale di assemblea del 10.5.03) presentano una diversità, immediatamente percepibile, rispetto alle firme apposte in calce alle due querele presenti nel fascicolo del dibattimento. La falsità è stata comunque confermata dalle conclusioni della relazione del consulente tecnico del P.M. e dalle dichiarazioni rese dallo stesso all'udienza dibattimentale.
I giudici di merito hanno inoltre compiuto una precisa e circostanziata ricostruzione dell'attività ostruzionistica del B., diretta a impedire il controllo della gestione della società, il pretestuoso temporeggiamento nella consegna dei libri sociali ai consiglieri di amministrazione, la cattiva gestione delle risorse finanziarie rilevate dal consulente contabile, le forzature e le alterazione delle regole statutarie, la falsificazione del verbale dell'assemblea del 10.5.03.Le sentenze hanno quindi delineato una situazione di dissesto e di irregolarità, addebitabile-in virtù delle risultanze processuali - in maniera certa al B.,sotto il profilo aziendale, finanziario, contabile, giuridico e deontologico, situazione che evidenzia - al di là delle specifiche dimostrazioni delle singole trasgressioni - la responsabilità di quest'ultimo in ordine alla "necessitata " violazione dei doveri ex art. 2625 c.c., in quanto diretta a impedire e ad ostacolare lo svolgimento delle attività di controllo e revisione, all'esito delle quali, prevedibilmente, tanto dissesto e tanta illegalità sarebbero stati accertati e certificati.
ricorso va quindi rigettato, con condanna del B. al pagamento delle spese processuali.

giovedì 11 ottobre 2012

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sabato 6 ottobre 2012

Il contratto preliminare privo dei dati catastali é valido e non nullo per indeterminatezza dell'oggetto

Secondo la Suprema Corte il contratto preliminare di vendita di un immobile é valido non solo quando sia privo dell'indicazione dei dati catastali, ma addirittura quando oggetto del cd compromesso sia un immobile in costruzione e di proprietà di un soggetto diverso del promittente venditore. La ratio di tale principio si basa sulla concezione, giá espressa in precedenti pronunce, del contratto preliminare quale promessa di prestazioni e sempre sulla base di tale concezione la Suprema Corte, con la sentenza n. 14524/2012, ha ribadito che oggetto del preliminare non è l'oggetto del futuro contratto definitivo che le parti si obbligano a concludere, bensì la conclusione stessa del definitivo. Ne consegue la validitá e la piena efficacia sia del preliminare di vendita di un immobile che non contenga i dati catastali o altri elementi distintivi, purché sia certo che le parti abbiano inteso riferirsi a un bene determinato o, comunque, determinabile. Ai fini della validità del preliminare, pertanto,non è necessaria l'indicazione completa di tutti gli elementi del contratto che sarà stipulato, essendo sufficiente l'accordo delle parti sugli elementi essenziali. La validitá del preliminare peraltro non puó neppure essere inficiata dalla circostanza che il bene sia di proprietá di un terzo, in quanto, data la natura meramente obbligatoria del preliminare, é sen'altro ammissibile il contratto preliminare di cosa futura e di quello di cosa altrui.


Ripassiamo il d.lgs. n. 231/2001

Come ben noto, soggetto attivo di un reato può essere solo e soltanto una persona fisica, secondo il principio antropomorfico e antropocentrico del diritto penale. Al contrario, le persone giuridiche non possono essere soggetti attivi del reato. A carico della persona giuridica, tuttalpiù, puó essere prevista un'obbligazione civile di garanzia, mentre dei reati risponderanno solo le persone fisiche, che hanno agito in nome e per conto dell'ente. Tuttavia, per contrastare il fenomeno della delinquenza societaria è stato introdotto nel nostro ordinamento il principio della responsabilità diretta delle persone giuridiche derivante dai reati commessi da dirigenti e dipendenti. Quando uno dei reati previsti dalla normativa in esame è frutto di una decisione imprenditoriale, conseguenza della mancata adozione di modelli organizzativi e di gestione idonei a prevenirli ovvero dell'inadeguata vigilanza da parte degli organismi di controllo, sussiste la responsabilità delle persone giuridiche, vale a dire società, imprese individuali, associazioni, etc che sono punite con sanzioni pecuniarie ed interdittive, quali l'interdizione dall'esercizio dell'attività, la sospensione o la revoca di autorizzazioni, licenze o concessioni, il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione, l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi, sussidi nonché l'eventuale revoca di quelli già concessi ed il divieto di pubblicizzare beni o servizi. Sanzioni accessori sono anche la confisca della società e la pubblicazione della sentenza di condanna.


domenica 30 settembre 2012

Vita in condominio: i rumori molesti da appartamento

Tum Tum, pam pam, tick tick, trrrrrrrr … e tutto nel bel mezzo della notte.

Ebbene si cari amici, oggi affrontiamo un tema di grande attualità, ma, purtroppo, spesso sottovalutato e minimizzato, vale a dire i rumori molesti da appartamento.
 
Ditemi la verità, chi di voi non ha avuto vicini di casa rumorosi.

Liquidati troppo spesso quali questioni bagatellari di poca importanza, i rumori da appartamento sono un problema sociale serio, spesso balzato alle luci della cronaca, come accaduto proprio pochi giorni fa.

Musica ad alto volume, bricolage, urla, mobili che strisciano, calpestio e chi più ne ha più ne metta.

Certo, vi sono diverse categorie e diversi livelli di rumore, ma nei casi più gravi le immissioni di rumore possono riverbersi in modo negativo sulla psiche e sulla sua salute fisica di una persona.

Stress, mancanza di sonno, stati di ansia, attacchi di panico sono il minimo comune denominatore di chi deve convivere con questo tipo di situazioni.

Si sa, il limite tra il diritto di essere liberi in casa propria ed il diritto alla quiete domestica, in questi casi è molto sottile e labile.

La lentezza della giustizia, poi, contribuisce a far incancrenire la situazione ed incrementare la litigiosità tra le parti.

In questi casi, in primo luogo, naturalmente, bisogna cercare di gettare acqua sul fuoco e di essere tolleranti, in quanto il diritto al silenzio assoluto non esiste ed alle abitudini dei vicini di casa, soprattutto per chi abita in condominio, bisogna farci il callo.

In caso contrario sarebbe il vostro vicino ad essere ostaggio in casa propria e a non potersi dedicare in modo sereno alle proprie occupazioni.

Mi è capitato il caso di una ragazza che si è vista recapitare la lettera di contestazione di un legale, in quanto un giorno dovette rientrare in casa alle 6.00 del mattino per prendere il cellulare, lasciato sbadatamente sul letto, e nella fretta provocò un po’ di rumore.

Come dicevano i romani, in medio est virtus e bisogna contemperare due interessi contrapposti.

Se effettivamente il vostro vicino ha abitudini o hobby la cui rumorosità supera la normale tollerabilità ed è sordo alle vostre lamentele, bisogna agire giudizialmente.

E allora, vi starete chiedendo: cosa dobbiamo fare?!?

Innanzi tutto, registrate, registrate e registrate, procuratevi dei testimoni e verificate se i rumori sono percepiti da altri condomini.

Poi, cercate di procurarvi un minimo intervento delle forze dell’ordine, anche se solo nella forma dello scambio di generalità ed ora vi spiego perché.

Soprattutto se gli agenti interverranno in ore notturne, ci sarà un primo indizio a riprova della veridicità delle vostre ragioni.

Non dimentichiamoci che al cospetto delle forze dell’ordine molte persone potrebbero, a propria discolpa, fare rilvelazioni interessanti, che in linea teorica saranno messe nero su bianco nella relazione di servizio degli agenti.

Magari il vicino riferirà di soffrire di insonnia e di riuscire a dormire solo suonando la chitarra elettrica.

Poi con il verbale di intervento e le vostre registrazioni, rivolgetevi all’amministratore di condominio o ad un legale per diffidare il vicino dal perseverare con la propria condotta.

Se prima della lettera del legale, o di un richiamo informale, il saltellare per casa della vicina alle 3.00 del mattino con le zeppe ai piedi può avere carattere inconsapevole, una volta che al vicino è noto che la sua azione arreca disturbo e danno, si può ben presumere che il ripetersi di quelle medesime condotte possa essere fatto con cognizione di causa, o quanto meno accettandone i rischi e le conseguenze.

Nel caso in cui le molestie non dovessero cessare (e questa è la stragrande maggioranza dei casi), lo step successivo è quello di presentare una dettagliata denuncia-querela, ove dovrà essere esposto nei particolari il tipo di condotte moleste, con l’indicazione di date e la descrizione degli episodi più significativi nonché degli effetti delle molestie sulla vostra salute.

Nella denuncia si dovrà anche fare una attenta ricostruzione dell’animus agendi, per indicare agli inquirenti elementi utili a determinare se le condotte moleste sono volontarie e, quindi, dolose, o meno.

Questa fase è delicatissima, in quanto dalla stessa dipende la qualificazione del reato.
Infatti, a livello penalistico una condotta molesta può assumere diverse connotazioni a seconda delle modalità pratiche di svolgimento ed alle conseguenze sulla vittima, che vanno dai semplici rumori molesti (disturbo della quiete pubblica) sino alla nuova figura dello stalking condominiale.

Ebbene sì cari amici, spesso i rumori da appartamento trascendono in vere e proprie condotte persecutorie sussumibili nel reato di stalking.

Si sa. Purtroppo, alcune persone, di fronte ad un appunto sulla correttezza delle proprie abitudini, anziché fare un po’ di autocritica e cambiare atteggiamento, hanno la reazione inversa ed i rumori assumono la forma di vere e proprie persecuzioni (e quindi si può parlare di stalking condominiale).
In questo ultimo caso, la reazione dell’ordinamento giuridico è molto forte, in quanto può essere anche disposto l’allontanamento del vicino rumoro dalla propria abitazione.

Sempre più numerose sono le sentenze che riconoscono nelle fattispecie di rumori molesti la sussistenza del reato di stalking.

In ogni caso, fatta la denuncia-querela, si potrà agire anche in sede civile tanto in via cautelare e di urgenza, per ottenere la cessazione dei rumori molesti e l’adozione di misure necessarie a neutralizzarli (insonorizzazione degli ambienti a cura e spese del molestatore), quanto in via ordinaria per ottenere il risarcimento del danno integrale.

Sul punto è sempre importante verificare l’esistenza del regolamento di condominio, in quanto la presenza del medesimo sposta automaticamente la competenza in capo al Tribunale (se il risarcimento del danno richiesto supera l’importo di € 5.000,00) e muta la ripartizione dell’onere probatorio tra le parti.

Ed infatti, sia con riferimento all’azione civile che all’azione penale, per sostenere le proprie ragioni in giudizio servono delle prove.

La prova de rumori molesti può essere fornita tanto con testimoni quanto con registrazioni fonografiche, senza necessità di costose verifiche da parte di esperti, che comunque male non fanno.

La soglia di tollerabilità di cui alle norme civilistiche e penalistiche non è legata a parametri legali, ma è oggetto di valutazione da parte del Giudice. Le lezioni di ballo o i giochi dei bambini alle 3.00 del mattino, anche se non producono rumori oltre soglia (il che è difficile), sicuramente violeranno gli artt. 844 e 2043 cod. civ.

Per il resto, la giurisprudenza ha sfornato numerose decisioni in cui si esprime un deciso favor, anche sotto il profilo probatorio, per la vittima.

Per concludere, il mio consiglio cari amici è quello di rispettarvi a vicenda e, se vi vengono mosse delle critiche ragionevoli e fondate, su abitudini che possono arrecare fastidio, di lavorare per trovare una soluzione che soddisfi entrambe le parti.

Naturalmente, è inutile dirlo, non cercate di vendicarvi nei confronti di chi vi ha mosso una critica, in quanto, oltre ad essere sbagliato, potreste rischiare di incorrere in una condanna penale per stalking, reato gravissimo.







sabato 15 settembre 2012

venerdì 27 luglio 2012

La Cassazione dice basta ai "Falsi d'Autore". Anche metterli in vendita è reato

Secondo la Suprema Corte, risponde del reato di messa in vendita di merce contrattata il commerciante che vende prodotti con segni distintivi e marchi identici a quelli originali, anche se sui medesimi e sul materiale promozionale nel punto vendita viene esposta la dicitura "falso d'autore".

I diritti di privativa e quindi i marchi assolvono alla delicata funzione di permettere ai consumatori di identificare un prodotto e quindi la violazione di tali diritti configura ipotesi di reato contro la fede pubblica, a nulla rilevando la tutela dell'affidamento del consumatore garantita con l'avviso che si tratta di falsi e non di merci originali (vd. Sentenza 28423/2012).

Pertanto, sia i prodottori che i venditori di siffatte merci sono penalmente responsabili, naturalmente in base ai rispettivi ruoli, nulla rilevando la convinzione che il reato sussiste solo se il marchio è idoneo a ingenerare confusione tra il prodotto originale e quello contraffatto e che sia stato adeguatamente informato il pubblico dei consumatori con l'indicazione espressa della falsità del marchio.

La tutela del consumatore, debitamente informato di ciò che sta comprando secondo la Suprema Corte è irrilevante poiché l'elemento integrativo del reato è incarnato dall'introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi.

Si ribadisce che secondo la giurisprudenza, il bene giuridico protetto dalla norma penale non è l'affidamento dei consumatori, ma un bene diverso, vale a dire la pubblica fede in senso oggettivo, intesa come l'affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi che individuano le opere dell'ingegno o i prodotti industriali.

Di fatto la Corte di Cassazione risolve un problema pratico che si è creato soprattutto con la diffusione del commercio online (e-commerce), ove su molti siti impazzano i così detti falsi d'autore.

Con la sentenza in esame, di fatto viene impedito di aggirare la tutela che la legge accorda al marchio registrato, che non potrà più essere aggirato semplicemente apponendo la dicitura "falso d'autore" o dicitura analoga sul prodotto.

Infatti, la contraffazione è in re ipsa sufficiente e decisiva per la violazione del bene tutelato, determinando la necessità di scongiurare la confusione tra prodotti di marca e non e ciò a prescindere dall'idoneità a ingannare il compratore.

Repetita Juvant... no all'ipoteca per crediti inferiori agli 8.000,00 euro

Le imposte vanno pagate, ma contro l'accanimento di Equitalia nei confronti di contribuenti debitori di importi esigui nei confronti dell'Amministrazione Pubblica si è dovuta esprimere ancora una volta la Suprema Corte di Cassazione.

Con la Sentenza n. 5771/2012 la Suprema Corte ha respinto un ricorso di Equitalia che, non contenta delle precedenti pronunce a lei contrarie, ha cercato di far affermare la legittimità dell'iscrizione ipotecarie anche per crediti irrisori, tuttavia con scarso successo e rimendiando una ulteriore batosta.

Confermando la precedente decisione, già oggetto di un apprezzato commento su questo blog, è stato ancora una volta escluso che l’iscrizione di ipoteca possa essere effettuata anche per importi inferiori alla soglia minima per la quale l’agente della riscossione è autorizzato ex art. 76 del Dl 602/1973. E tale divieto opera anche per le iscirizioni effettuate prima della novella legislativa del 2010, che introduce ex lege il limite materiale degli € 8.000,00 per le espropriazioni immobiliari, con il risultato che ipoteche iscritte anche precedentemente all'entrata in vigore della predetta normativa devono essere dichiarate nulle e cancellate.

Interessante ad avviso di chi scrive è l'eventuale applicazione analogica del principio espresso dalla Cassazione ai rapporti tra privati.

mercoledì 27 giugno 2012

Cofermato il principio del risaricmento del danno al coniuge tradito... le corna possono costare caro

Facendo seguito ad una precedente pronuncia, di cui ci siamo già occupati, la Corte di Cassazione ha confermato il principio secondo cui in materia di separazione il Tribunale può sia pronunciare l'addebito nei confronti del coniuge fedifrago sia condannare lo stesso al risarcimento del danno.

Secondo la Suprema Corte, i principi fondamentali della responsabilità civile ed in particolare il principio del neminem ledere (non danneggiare nessuno) ineriscono anche il rapporto familiare, seguendo una tendenza che si inserisce nel più generale ampliamento dell’area della responsabilità aquiliana.

Per tale ragione, nel contesto familiare, il risarcimento  è dovuto in tutti i casi di violazione dei diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantiti … incidendo su beni essenziali della vita”.

All'adulterio è ricollegata la violazione dei diritti della salute e dei rapporti relazionali, proprio in quanto diritti connessi con la qualità di coniuge nonché è pure ricollegata la violazione di obblighi nascenti dal matrimonio che, da un lato è causa di intollerabilità della convivenza, giustificando la pronuncia di addebito, con gravi conseguenze, com’è noto, anche di natura patrimoniale, dall’altro, si configura come comportamento (doloso o colposo) che, incidendo su beni essenziali della vita, produce un danno ingiusto, con conseguente risarcimento, secondo lo schema generale della responsabilità civile.

Per tale ragione, secondo la giurisprudenza, le scappatelle possono costare molto caro.

venerdì 17 febbraio 2012

Cambiali e titoli di credito: il possesso della cambiale non vale titolo... bisogna dimostrare il diritto di credito

La Suprema Corte (Sent. n. 63/2012) ha consacrato il principio secondo cui il mero possessore della cambiale non ha diritto al pagamento se non fornisce la prova del diritto di credito di cui al pagherò cambiario.


Il mero possessore di un titolo di credito cartolare che non risulti prenditore né giratario dello stesso, qualora manchi sul titolo l'indicazione del beneficiario, non può considerarsi legittimato alla pretesa del credito ivi contenuto, se non dimostra l'esistenza del rapporto giuridico da cui deriva tale credito.

Infatti il principio del possesso del titolo non trova applicazione in materia di titoli di credito, dal momento che si può certo escludere che esso sia pervenuto al possessore in modo illecito.

Peraltro, chiarisce la Suprema Corte, in tali ipotesi il titolo non potrebbe neppure valere come promessa di pagamento, ai sensi dell'art. 1988 cod. civ., poiché tale norma opera solo nei confronti di colui a cui la promessa sia stata effettivamente fatta.

Ne consegue che il mero possessore di un titolo all'ordine (privo di valore cartolare), qualora non risulti nella veste di beneficiario dal documento, deve fornire la prova dei fatti costitutivi del suo diritto.

giovedì 16 febbraio 2012

Web-reputation: il direttore di giornali online non risponde per i commenti diffamatori

Con la Sentenza n. 44126/2011, la Corte di Cassazione ha fatto luce in merito ad un problematica molto attuale nell'era dell'informatizzazione e della diffusione dei giornali o riviste online e dei blog, vale a dire il problema della responsabilità penale dell'editore in merito ai commenti degli utenti.

E' noto che ormai tutti i quotidiani e riviste online danno la possibilità ai lettori di commentare le notizie per creare una sorta di interazione. Naturalmente, capita, e pure spesso, che si leggano commenti violenti e volgari contro soggetti richiamati nell'articolo.

Come noto, l'art. 57 del codice penale, che punisce i reati commessi col mezzo della stampa periodica, sanziona penalmente il direttore o il vice-direttore responsabile il quale ometta di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che, col mezzo della pubblicazione, siano commessi reati.


Era controverso se tale norma fosse applicabile anche ai commenti dei lettori, che spesse volte sono oggetto di moderazione prima di essere pubblicati.

I dubbi erano accresciuti dalle Disposizioni Sulla Stampa, secondo cui sono considerate stampe o stampati tutte le riproduzioni tipo grafiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione.


Secondo la Corte di Cassazione, la norma penalistica di cui all'art. 57 cod. pen. non è suscettibile di applicazione con riferimento ai commenti dei lettori.

Infatti, secondo la Suprema Corte, la soluzione della diatriba risiede in una interpretazione letterale delle Disposizioni Sulla Stampa.

Infatti, dalla lettura della normativa in materia si evince che si può parlare di stampa in senso giuridico se ricorrono due condizioni: a) che vi sia una riproduzione tipografica, b) che il prodotto di tale attività (quella tipografica) sia destinato alla pubblicazione attraverso una effettiva distribuzione tra il pubblico.

Le pubblicazioni online non presentano alcuno dei requisiti, in quanto non consistono in molteplici riproduzioni su più supporti fisici di uno stesso testo redatto in originale, al fine della distribuzione presso il pubblico.

Il testo pubblicato su Internet esiste come unicum all'interno della pagina di pubblicazione, anche se può essere visualizzato sugli schermi di un numero indefinito di dispositivi hardware.

La diffusione del contenuto del periodico on-line avviene dunque non mediante la distribuzione del supporto fisico in cui è inserito, quanto piuttosto attraverso la visualizzazione del suo contenuto attraverso i pc collegati alla rete proprio come avviene per le notizie trasmesse dai telegiornali, che vengono visualizzate sugli apparati privati dei telespettatori.

La Corte di Cassazione ha negato che al direttore della testata televisiva sia applicabile la normativa di cui all’art. 57 c.p., proprio per la diversità strutturale tra i due mezzi di comunicazione e per la impossibilità di operare, in materia penale, una analogia in malam partem.


Se quindi il direttore non può essere ritenuto responsabile ex art. 57 cod. pen. per l'articolo in sé stesso, tanto meno potrà essere considerato responsabile per i commenti "postati" direttamente dall’utenza, senza alcuna possibilità di controllo preventivo da parte del direttore della testata.

Vi è una vera e propria impossibilità per il direttore della testata di impedire la pubblicazione di commenti diffamatori, il che rende evidente che la norma contenuta nell’articolo 57 del codice penale non è stata pensata per queste situazioni, perché costringerebbe il direttore ad una attività impossibile, ovvero lo punirebbe automaticamente ed oggettivamente, senza dargli la possibilità di tenere una condotta lecita.

Per concludere, quindi, l’inapplicabilità dell’articolo 57 del codice penale al direttore delle riviste on-line discende sia dalla impossibilità di ricomprendere quest’ultima attività nel concetto di stampa periodica, sia per l’oggettiva impossibilità del direttore responsabile di rispettare il precetto normativa, il che comporterebbe la sua punizione a titolo di responsabilità oggettiva, dato che verrebbe meno non solo il necessario collegamento psichico tra la condotta del soggetto astrattamente punibile e l’evento verificatosi, allo stesso nesso causale.







domenica 29 gennaio 2012

Rexlaw: business corporation – included sole traders – and enforcement of Decree n. 231/2001 – from the origins to the Thyssenkrupp case.


The conclusions reached by the Criminal Court of Taurin (Torino) in the criminal case proceeded against the management of Thyssenkrupp shed a light over the consequences - serious and important – of the enforcement of Decree n. 231/2001, which introduced – already more than 10 years ago – in the Italian legal system the principle of “corporate liability” for the crimes (there is a list of crimes funding the corporate liability) committed by managers, officers or employees in the interest and for the benefit of a “body” as such as private companies or sole traders.

The legal liability introduced by these rules, although named "administrative", actually has a very criminal nature, originating straight from the commission of crimes by managers or employees, which is derived a profit for the corporate body from.

It is also considered to be a direct responsibility, and therefore subjective, because the corporate liability is addressed “directly” to the company (even though the crime is necessarily committed by an individual) itself and, more in particular, to a gross negligence in the interior organization of the “body”, which is always presumed to be existing, according with the provisions of D.lgs. 231/2001.

The presumption of gross negligence can be avoided only demonstrating the adoption and effective enforcement of models and procedurs of corporate organization and business management and demonstrating, therefore, the clear willingness of the individuals (who committed the crime in interest and at advantage of the body) to get around the pre existing procedures and the models

And in fact, the "gross negligence" in the business organization - hence the corporate liability of the “body” - consists in the lack of the adoption of procedures and models for the business organization and corporate management. 

The Supreme Court also made clear that the company liability is a stand-alone and separate liability, compared to the responsibility of the individuals charged with alleged accusations. 

However the corporate liability doesn’t subsist if it’s possible to demonstrate that the body has adopted and effectively enforced, before the commission of crime by a manager or an employee, the procedures and models of business organization and corporate management and if those (models and procedures) are actually adequate and suitable to prevent the crimes contemplated by the list content in the D.lgs. n. 231/2001 and subsequent amendments

Hither in the absence of above mentioned procedures and models either in case of their inadequacy or failure in their practical enforcement, the company has to face a very consistent sanctioning system, which is being implemented with great rigor, as made clear by the territorial Courts, even in civil suits, and by the Supreme Court

As noted above, serious and significant are the punishments, both pecuniary fines and disqualifications/bans orders, provided by D.lgs. 231/2001.

Moreover, it should be underlined that the disqualification or ban from pursuing the core business of the company may be applied as a precautionary measure, whenever are alleged by the Prosecutor Office serious clues about the responsibilities of the body and there are substantial and specific elements from which is clear that new crimes of the same nature as such as those for which is proceeded can be committed pending the legal suit.

No punishment is, on the other hand, to be applied if the body had previously adopted organizational models and procedures and if it had been ensuring the regular implementation and practical enforcement.

Moreover, the D.Lgs. 231/2001 has to be coordinated with the rules in the area of security and safety measures on the workplace, since D.lgs. n. 231/2001 refers expressly the regulations in the area of security and safety on workplace due to the fact that it has recently been extended referring to crimes pertaining to labor law.

Consequently, stated that, if the bodies won’t comply to the rules provided in area of workplace safety and security, there’s a clear liability pursuant to D.lgs. n. 231/2011.

In particular, in case the bodies fail to comply with the prescription issued by D.lgs. n. 231/2001 and by the rules issued in the area of security and safety on workplace, the Ministry of Labour, through the local inspectors, may even issue an order - in this case of purely administrative nature - the banishment of the body from pursuing is workability in the following circumstances:

1) recourse to off the books workers in a percentage equal or mayor to/than 20% of workers with regular contracts;
2) Repeated violations of daily and weekly rest and excess of the maximum (average) weekly working hours;
3) serious and repeated violations of rules in area of security and safety at workplace.

Furthermore, as stated before, in addition to judicial sanctioning system above described, in the area of labor unlawful behaviors in business organization, emerges a disqualification/ban befitting an administrative nature (which can be appealed before the TAR).

It shall even pointed out that the crimes of manslaughter and culpable bodily harms, as a result of violation of rules in the area of security and safety on workplace, merge into the list of crimes funding the corporate liability. The sanctioning system to be applied in such cases is the one provided from the D.lgs. n. 231/2001.

Given that, even in the occurrence of one of the above mentioned crimes, the corporate liability can be avoided if it is proved the existence and enforcement of the procedures and models for the business organization and corporate management beyond a system of internal regulation and controls in terms of security and safety work on work place.

In light of this legal system, the necessity to comply with provisions of D.lgs. 231/2001 is especially for the business corporations or sole traders an urgent priority, meanwhile bodies still underestimate given the serious and expensive risks associated with the lack of procedures and organizational models required by law.

Nevertheless, the risk faced by those bodies which do not comply with the requirements demanded by D.lgs. n. 231/2001 is very high and it is the actual ban/disqualification from the business market, not forgetting that, at best, the body can keep operating just after the appointment of a judicial commissioner, and only in special cases. 

The disqualification/ban has a serious impact on the workability of the company and due to this may necessarily have aftermaths and repercussions on occupational levels,

So it hard to understand why Italian companies have failed and are still failing to comply with the legislation rules under discussion. 

Moreover, in recent years, there has been a huge improvement in the enforcement of the provisions contained in D.lgs. n. 231/2001 as appears from many precautionary measures issued by the Courts and consisting in the vary disqualification/ban measures provided by D.lgs. 231/2001.

It surely appears clear that the Italian Courts are enforcing the Decree 231/2001 with severity, sanctioning the body issuing precautionary measures ever since the beginning of the processes, during the investigations, for the crimes committed by managers or employees in the interest and at advantage of the body itself. 

As a further demonstration of the severity shown up by the Courts in this matter, it must be pointed out, as written in previous posts, that pursuant to the Supreme Court the bodies which failed in the adoption and implementation of organizational models and procedures required by the law represent a danger for the whole society and economic system. 

Therefore, pursuant to the Supreme Court, all the bodies must comply necessarily with the provisions of D.lgs. n. 231/2001 except for the State, the local governments and all institutions that perform relevant and constitutional functions which can be dispensed from this compliance (Sent. No 20560/2010, 28699 / 2010).

According to the Supreme Court, the provisions issued by the D.lgs. n. 231/2001 are to be applied even to the sole traders, which must adopt models and procedures to avoid the corporate liability.
This is a logical conclusion, given the intimate connection established between D.lgs. 231/2001 and rules on  safety and security on the workplace.

Of particular importance is also the decision n. 1774/2008, issued by the Court of Milan, which charged as responsible managers (directors, general managers) of a private company for the damages caused to the stake holders from the lack of models and procedures. 

In fact, the company, which hadn’t been complied to the provision of the D.lgs. n. 231/2001, was banned by the Court from any business activity due to the commission of crimes listed by the D.lgs. n. 231/2001 in its interest and at its advantage. 

It was right the lack of models and procedures to urge the criminal Court to issue a precautionary measure, banning the company itself from continuing its activity, with big damages for stake holders, who sued the managers before the Civil Court for damages compensation. 

The decision issued by the Court of Milan, especially in light of the principles enunciated by the Supreme Court above described, leads to the following statement "it is compulsory for the businesses to provide comply with the prescriptions issued by the D.lgs. n. 231/2001", and this is necessary right to free the managers (Directors, general managers, etc ...) from the risk of being sued even before the Civil Courts in case of suits for professional malpractice lodged by stake holders against them - under the prescription of art. 2393 cod. Civil Code. 

The statements consecrated by the Milan’s Court House sounds like a clear warning to the managers of companies, such as directors and general managers, not to be indifferent towards the provisions of Legislative Decree n. 231/01.

The indifference can be extremely “expensive” for the managers, since the liability referred to the D.lgs. n. 231/2001 is often based on the negligence in their conducts and behaviors.

In order to adapt your company to the provisions of D.lgs. n. 231/2001, Rexlaw (renatomusella@hotmail.com) is able to put at your disposal the know-how and highly qualified team to provide professional assistance.

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