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domenica 18 novembre 2012

La spada del D.lgs. 231/2001 anche sulla società fallita

Secondo una recentissima sentenza della Suprema Corte, sent. 44824 del 15/11/2012, le sanzioni amministrative nei confronti delle società a seguito dei reati commessi a beneficio della stessa da dipendenti e dirigenti trovano applicazione anche in caso di fallimento dell'ente.

La giurisprudenza di merito era infatti solita equiparare il fallimento alla morte del reo, fatto che come noto ai sensi e per gli effetti dell'art. 150 c.p., estingue il reato.

Tuttavia, ha rilevato la S.C., la società fallita non è da considerarsi morta, fatto che inerisce tutt'al più la società estinta e cancellata, ma in stand by.

Infatti, come rilevato da chi scrive, per un ente la "morte" è la sua cancellazione dal Registro delle imprese, che nel caso di società fallita viene effettuata su impulso del curatore fallimentare, ragione per cui in caso di fallimento non sussistono i presupposti per l'estinzione delle sanzioni ex Dlgs 231/2001.

Peraltro, lo stesso Dlgs 231/2001 non contempla il fallimento tra le cause cause estintive delle sanzioni amministrative comminate alla società, includendovi invece la prescrizione per decorso del termine di legge e prevedendo altresì l'improcedibilità nei confronti dell'ente quando sia intervenuta amnistia in relazione al reato presupposto.

Quello della Suprema Corte è l'ennesimo monito agli imprenditori ad adottare i modelli 231/2001 e ad amministrare gli enti economici in modo responsabile e saggio, controllando che in azienda tutto funzioni per il verso giusto e secondo i modelli ex D.lgs. 231/2001.

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