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martedì 26 luglio 2011

Corte Costituzionale: è illegittimo l'obbligo del regolare soggiorno in italia per contrarre matrimonio: lo straniero extracomunitario non regolarmente soggiornante e clandestino può contrarre matrimonio in Italia

La Corte Costituzionale (Sent. n. 245/2011) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 116 cod. civ. nella parte in cui richiede che possa contrarre matrimonio solo lo straniero che sia in possesso di un documento attestante il regolare soggiorno in Italia.

Secondo la Consulta infatti la norma in esame infatti contrasterebbe:
con l’art. 2 Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità;
con l’art. 3 Cost., per violazione del principio di eguaglianza e di ragionevolezza;
con l’art. 29 Cost., per violazione del diritto fondamentale a contrarre liberamente matrimonio e di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi sui quali è ordinato il sistema del matrimonio nel vigente ordinamento giuridico;
con l’art. 31 Cost., perché interpone un serio ostacolo alla realizzazione del diritto fondamentale a contrarre matrimonio;
con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 12 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).

In particolare, sempre secondo la Consulta, il matrimonio costituisce espressione della libertà e dell’autonomia della persona, ed il diritto di contrarre liberamente matrimonio è pertanto oggetto della tutela inderogabile garantita dagli artt. 2, 3 e 29 Cost., in quanto rientra nei diritti inviolabili dell’uomo, caratterizzati dall’universalità e dall'assolutezza.

Peraltro, la Carta Costituzionale italiana, all’art. 31 Cost., nel sancire che la Repubblica agevola la formazione della famiglia, esclude la legittimità di limitazioni di qualsiasi tipo alla libertà matrimoniale, libertà chiaramente ostacolata dalla previsione di cui all'art. 116 cod. civ. in esame.

La libertà di contrarre matrimonio trova ulteriore fondamento anche nell’art. 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, nell'art. 12 della CEDU e nell’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e successivamente recepita dal Trattato di Lisbona.

In particolare, con specifico riferimento all’art. 12 della CEDU, tale norma contempla la libertà matrimoniale quale diritto e libertà che devono essere assicurati senza distinzione di sorta. Lo stesso art. 12 della CEDU, pur prevedendo che tale diritto debba essere esercitato nell’ambito della legislazione nazionale, non consente che le legislazioni dei singoli Stati possano porre condizioni o restrizioni irragionevoli.

La Corte Costituzionale già in precedenza (sentenze n. 61 del 2011, n. 187 del 2010 e n. 306 del 2008) aveva affermato che al legislatore italiano è certamente consentito dettare norme, non palesemente irragionevoli e non contrastanti con obblighi internazionali, che regolino l’ingresso e la permanenza di stranieri extracomunitari in Italia.


Tali norme, però, devono costituire pur sempre il risultato di un ragionevole e proporzionato bilanciamento tra i diversi interessi, di rango costituzionale, implicati dalle scelte legislative in materia di disciplina dell’immigrazione, specialmente quando si tratti di norme che siano suscettibili di incidere sul godimento di diritti fondamentali, tra i quali certamente rientra quello «di contrarre matrimonio, discendente dagli articoli 2 e 29 della Costituzione, ed espressamente enunciato nell’articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e nell’articolo 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali» (sentenza n. 445 del 2002).

Vero è secondo la Consulta che la essenziale differenza esistente tra il cittadino e lo straniero può giustificare un loro diverso trattamento nel godimento di certi diritti (sentenza n. 104 del 1969), in particolare consentendo l’assoggettamento dello straniero «a discipline legislative e amministrative» ad hoc (l’individuazione delle quali resta comunque collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici - sentenza n. 62 del 1994 - quali quelli concernenti «la sicurezza e la sanità pubblica, l’ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in tema di immigrazione).

Tuttavia, resta pur sempre fermo che i diritti inviolabili, di cui all’art. 2 Cost., spettano «ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani», di talché la «condizione giuridica dello straniero non deve essere pertanto considerata – per quanto riguarda la tutela di tali diritti – come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi» (sentenza n. 249 del 2010).

Si impone, pertanto, la conclusione secondo cui la previsione di una generale preclusione alla celebrazione delle nozze, allorché uno dei nubendi risulti uno straniero non regolarmente presente nel territorio dello Stato, rappresenta uno strumento non idoneo ad assicurare un ragionevole e proporzionato bilanciamento dei diversi interessi coinvolti nella presente ipotesi, specie ove si consideri che il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) già disciplina alcuni istituti volti a contrastare i cosiddetti “matrimoni di comodo”.

Ed infatti, il Testo Unico sull'immigrazione prevede che il permesso di soggiorno «è immediatamente revocato qualora sia accertato che al matrimonio non è seguita l’effettiva convivenza salvo che dal matrimonio sia nata prole.

Inoltre, la Corte Costituzionale ha senz'altro adeguato il proprio orientamento a quello della Corte di Giustizia Europea, la quale ha affermato che il margine di apprezzamento riservato agli Stati membri non può estendersi fino al punto di introdurre una limitazione generale, automatica e indiscriminata, ad un diritto fondamentale garantito dalla Convenzione (par. 89 della sentenza).

Secondo i giudici di Strasburgo, pertanto, la previsione di un divieto generale, senza che sia prevista alcuna indagine riguardo alla genuinità del matrimonio e della relazione affettiva tra i nubendi, è lesiva del diritto di cui all’art. 12 della Convenzione.

Detta evenienza ricorre anche nel caso previsto dalla norma di cui all'art. 116 cod. civ., dal momento che il legislatore – lungi dal rendere più agevole le condizioni per l’accertamento del carattere eventualmente “di comodo” del matrimonio di un cittadino con uno straniero – ha dato vita, appunto, ad una generale preclusione a contrarre matrimonio a carico di stranieri extracomunitari non regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato.

venerdì 22 luglio 2011

Costituisce reato la condotta del genitore affidatario del minore volta ad ostacolare il diritto di visita del genitore non affidatario

Secondo la Corte di Cassazione (Sent. 26810/2011), il genitore affidatario, qualora non ottemperi il provvedimento del Tribunale Civile che regola il diritto di visita dell'altro genitore, strumentalizzando o addirittura adducendo il rifiuto dei bambini di vedere l'altro genitore, commette il reato di cui all'art. 81 e 388 c.p.

La responsabilità penale sussiste anche se il genitore affidatario eluda il provvedimento giudiziale approfittando dei "rifiuti" del minore, in quanto in tali ipotesi si profila senz'altro una condotta dolosa volta all'inottemperanza del provvedimento giudiziale.

L'elemento piscologico del dolo sussiste in tutti i casi in cui nel caso di specie si verifichi  la mancanza di una attiva e doverosa collaborazione da parte del genitore affidatario alla riuscita delle visite e degli incontri dell'altro genitore stabiliti con provvedimento del giudice civile, collaborazione essenziale soprattutto nel caso di un minore in tenera età, nel cui interesse si prevede che entrambi i genitori debbano mantenere e coltivare un rapporto affettivo con il proprio figlio.

L'esclusione del dolo non appare giustificata in tutti i casi in cui il genitore affidatario, nell'impedire al genitore non affidatario il diritto di visita ricusato dal minore, non sia stato effettivamente mosso dalla necessità di tutelare l'interesse morale e materiale del minore medesimo.

La decisione della Corte di Cassazione rappresenta una nuova arma di difesa per il genitore non affidatario di tuelera il proprio diritto alla paternità, assurto a grado di diritto della personalità dalla Corte dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino,contro le condotte vendicatrici del genitore affidatario che purtroppo molto spesso si servono dei figli per consumare la propria guerra personale contro l'ex.

Il Giudice può valutare ex officio la sussistenza di un concorso di colpa in materia di circolazione stradale

Secondo la Suprema Corte (Cass. civ. Sez. III, 15/07/2011, n. 15674), in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti, la presunzione di concorso in pari grado di colpa di cui all'art. 2054, comma 2, c.c. - 1227 c.c. a carico dei conducenti dei mezzi coinvolti in un sinistro rappresenta un criterio di distribuzione delle responsabilità che il Giudice deve applicare qualora l'istruttoria non ha consentito di accertare le specifiche modalità dell'evento dannoso, nonché l'incidenza e la misura delle singole condotte colpose. 

Ne consegue che il Giudice, anche nel caso in cui l'istruttoria abbia evidenziato la responsabilità di uno solo dei conducenti coinvolti nell'incidente, deve accertare pur sempre, anche ex officio, che il comportamento di guida dell'antagonista sia immune da censure.

In materia di fideiussione non opera il beneficium excussionis se il debitore principale è soggetto a procedure concorsuali

Secondo la Suprema Corte (Cass. civ. Sez. III, 18/07/2011, n. 15731), il beneficio della preventiva escussione non può essere opposto dal fideiussore in caso di sottoposizione del debitore principale a procedura concorsuale, ove non vi siano ed ove non siano dal fideiussore indicati beni del debitore principale ancora suscettibili di essere assoggettati ad azione esecutiva individuale da parte del creditore.

Il padre che non provvede al mantenimento dei figli minori perché in oggettive difficoltà economiche non risponde del reato ex art. 570 c.p. perché il fatto non sussiste

La Corte di Cassazione (Cass. Pen. 27051/2011) ha di recente affermato un principio di diritto rivoluzionario in materia di obbligo al mantenimento dei figli minori, nel caso in cui il soggetto tenuto al mantenimento, nell'ipotesi di indigenza del medesimo.

Secondo la Suprema Corte, l’obbligo di prestazione dei mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore presuppone, infatti, la capacità economica dell’obbligato, con la conseguenza  che assume rilievo, ai fini di sanzionare penalmente l’inadempimento, che la mancata corresponsione delle somme dovute sia da attribuire all’indisponibilità, persistente, oggettiva, ed incolpevole, di introiti sufficienti a soddisfare le esigenze minime di vita.

Qualora nel merito venga accertata una obiettiva ed incolpevole incapacità economica del soggetto obbligato, ne consegue che l’imputato deve essere assolto dal reato ascrittogli con la formula perché il fatto non sussiste.

Circolazione stradale e sinistri: sono risarcibili anche i danni futuri

Secondo la Suprema Corte (Sent. 12690/2011) sono risarcibili i danni futuri consistenti nelle spese vive che la vittima di un incidente stradale dovrà sostenere per cure ed assistenza tutte le volte in cui il giudice accerti - dandone adeguatamente conto nella motivazione - che tali spese, la cui liquidazione andrà necessariamente operata in via equitativa, saranno sostenute secondo una ragionevole e fondata attendibilità a seguito di una valutazione prognostica la cui prova dovrà essere fornita dal danneggiato.

venerdì 15 luglio 2011

Foreigners and Immigration: Can people condemned obtain the release or the renewing of the permission of staying in Italy


As well known fact, the Bossi-Fini law provided that people condemned for serious crimes, concerning drugs traffics, sexual arrassing, illegal imigration or prostitution cannot stay in Italy and cannot renew the permission of staying.

The application of this principle is automatic and it is enough the existence of a jail sentence for one of the crimes as above described to impede the release or the renew of the permission of staying.
However Rex Law can’t help but asking if is not only morally but also ask Eppure Rex Law legally correct to provide an automatic system to deny the permission of staying’s release/renew, based exclusively on the existence of sentences, regardless of actual dangerousness of the immigrant.
According to my point of view, the automatism as above descrive should be reviewed, even in light of recently issued principles expressed by the European Justice Court, pursuant to it’s not possible to proceed with the expulsion of the foreigner from the territory of an European Country if it’s not ensured by a Judge the objective fact that the foreigner person represents a menace for the society.
It follows that the expulsion of the foreigner condemned for above described crimes is possible only in presence of law and order’s reasons, whose existence must be, as previously told, ought to be checked on by a Judge.
This principles were taken in by TAR of Lombardia (Decision issued on april 16th 2008), which stated that new elements come in must be considered in sight of the release or renew of permission of staying, although the jail sentence previously occurred.

Moreover, the Costitutional Court, with decision 27/4/2007 n. 143, according with a previous decision of the Consiglio di Stato (Supreme Administrative Court) 7/6/2006 n. 3412 stated that the regulation of immigration must be read in light of the European Directives 2003/109/CE and 2003/86/CE.
The decision of the Supreme Administrative Court stated that, although the presence of an objective obstacle to the renewing of the permission of staying, represented by a jail sentence, must be given relevance to the come in circumstance that new positive elements occurred in the foreign person’s life who is not an actual menace for the society and has found a job, conducting a regular life.

To be true, in the administrative proceeding, new facts are not usually considered and the decisions are automatically taken in light of the state of facts without considering in any way come in circumstances newly occurred.

Nonetheless, can’t be denied that the Public Administration’s decisions can be appealed and in the administrative sue is checked on the whole claim and the whole demand and not only the appealed provision.

It follows that the most recently issued decisions of the Administrative justice underlined that on subject of permission of staying renewing or release refusing, it’s the law itself (art. 5 law 286/1998) to oblige the Public Administration to check on newly occurred in come new elements which allow the release or the renewing of the the permission of staying, of course if the foreigner person underline the presence of this new elements (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI - 6/5/2008 n. 1990).

In fact, if the criminal behaviour of the foreigner was only episodic – like a once in a life time mistake – and the foreigner has found a job since the moment of his entrance in Italy and after his jail sentence he lived in peace and tranquillity without troubles, showing he is at the time reliable and totally integrated in the society, nothing should impede the renewing or the release of the permission of staying.
For further information contact Rex Law to the following email address: renatomusella@hotmail.com.

mercoledì 13 luglio 2011

Stranieri - Immigrazione: Condanne penali e rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno

La Legge Bossi - Fini come noto ha a suo tempo modificato ed integrato l’art. 4, comma 3, del Testo Unico sull’Immigrazione (D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286), prevedendo che per reati previsti dall’articolo 380 commi 1 e 2 c.p.p. – per i quali è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza - ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite non può entrare in Italia, oppure non può rinnovare il permesso di soggiorno.

La norma in esame introduce un motivo ostativo al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno allo straniero di applicazione automatica. 

Eppure Rex Law si chiede se sia giuridicamente corretto prevedere un meccanismo automatico di diniego del rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno, basato sul mero elemento oggettivo della presenza di condanne penali, a prescindere dalla effettiva pericolosità sociale dello straniero.


L'automatismo illo tempore introdotto dal legislatore andrebbe rivisto, anche alla luce dei principi espressi da alcune Sentenze della Corte di Giustizia Europea, secondo cui deve essere valutata l'esistenza di un effettivo grado di pericolosità dello straniero prima di procedere al suo allontanamento dal territorio di uno Stato membro.

Ne consegue che l'allontanamento è possibile solo in presenza di motivi di ordine pubblico, la cui sussistenza deve essere valutata nel caso concreto dall'Autorità Giudiziaria.


Il TAR Lombardia con la Sentenza del 16 aprile 2008, ha recepito l'orientamento affermato dai Giudici della CGE ed ha valorizzato la norma di cui all’articolo 5 comma 5 del Testo Unico sull’Immigrazione, ove si fa riferimento a "sopraggiunti nuovi elementi" che possano permettere il rilascio o il rinnovo del permesso nonostante la mancanza di alcuni requisiti.

Peraltro già la Corte Costituzionale, in un caso che riguardava l'automatismo ostativo al rinnovo del permesso di soggiorno derivante da condanne penali previsto dagli artt. 4 comma 3 e 5 comma 5 del D. Lgs. 286/98, con ordinanza 27/4/2007 n. 143 - richiamando quanto affermato nella decisione 7/6/2006 n. 3412 del Consiglio di Stato - ha restituito gli atti al giudice a quo per il riesame della questione alla luce della normativa sopravvenuta, ovvero i decreti legislativi 8/1/2007 n. 3 e n. 5, attuativi rispettivamente delle direttive 2003/109/CE e 2003/86/CE.

La Corte ha ritenuto applicabile tale normativa, in deroga al principio generale dei giudizi amministrativi del tempus regit actum in quanto "pur non essendo da misconoscere il modello impugnatorio dei giudizi concernenti l'asserita illegittimità dei provvedimenti di diniego del permesso di soggiorno o del relativo rinnovo, si ritiene che il loro oggetto non sia solo l'atto impugnato, ma si estenda alla pretesa sostanziale posta a base della impugnazione".

La decisione del Consiglio di Stato ivi citata statuisce che pur essendo incontestabile che alla data di adozione dell'impugnato provvedimento sussisteva una ragione ostativa al rinnovo del permesso di soggiorno, non può risultare priva di rilevanza la circostanza che siano poi sopravvenuti i presupposti per il rilascio del permesso.

Vero è che la forma impugnatoria del processo amministrativo induce, di norma, a valutare la legittimità dei provvedimenti impugnati alla data di adozione degli stessi, senza attribuire rilevanza alle circostanze sopravvenute. Tuttavia, è innegabile che, fermo restando il modello impugnatorio, il processo amministrativo si sia nel corso degli anni evoluto in modo tale che il suo oggetto non sia solo l'atto impugnato, ma si estenda alla pretesa sostanziale posta alla base dell'impugnazione.

La giurisprudenza ha evidenziato che in tema rifiuto di permesso di soggiorno o di suo rinnovo, l'art. 5 del D. Lgs. 286/98 impone all'amministrazione di considerare eventuali, sopraggiunti nuovi elementi - mancanti ad un primo esame e che risultino invece successivamente posseduti - tali da consentire il rilascio del provvedimento, sempre che le relative circostanze (integranti ex post i requisiti) siano stati evidenziati dall'interessato.

E' stato coerentemente affermato che, con l'inciso di chiusura contenuto nell'art. art. 5 comma 5 del D. Lgs. 286/98 "sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio", il legislatore ha chiaramente inteso porre una clausola di salvaguardia per i soggetti che - all'attualità - dimostrino il possesso dei requisiti per il rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI - 6/5/2008 n. 1990).

Se la condotta dello straniero sanzionata dall'Ago penale è episodica ed occasionale, ed incontestato sia lo svolgimento,da parte dello straniero di una regolare attività lavorativa fin dal suo ingresso nel nostro paese, sia il successivo mantenimento di una condotta pacifica e tranquilla, con conseguente emersione di consistenti indizi di affidabilità ed inserimento sociale, nulla dovrebbe ostare al rilascio del rinnovo del permesso di soggiorno, pur in presenza di una condanna penale.

Il Tar Lombardia, nella sentenza Sez. I - 16/4/2008 n. 384 ha recentemente esaminato un caso nel quale peraltro lo straniero aveva commesso il reato di detenzione illecita di sostanze stupefacenti. 

La pronuncia come evidenziato ha sottolineato che all'interno della norma di cui all'art. 4 comma 3 del D. Lgs. 286/98 - la quale non lascia margini di discrezionalità in relazione all'entità della pena, all'abitualità o alla segnalata occasionalità della condotta sanzionata, nonché circa la valutazione della personalità complessiva dell'imputato - non manca tuttavia la previsione di una possibile deroga, in via eccezionale, ove si ravvisi la "sopravvenienza di nuovi elementi", evidentemente da valutare caso per caso, in rapporto ai dati emergenti dagli atti. 

Se poi lo straniero ha trovato un posto di lavoro in data antecedente al diniego, in tale situazione, il diniego non deve ritenersi atto vincolato, sussistendo la possibilità di una valutazione di merito, ragionevolmente indirizzata ad una diversa conclusione della procedura di rinnovo di cui trattasi, dovendo ritenersi erronea - alla luce di tutte le circostanze sopra esposte - l'avvenuta qualificazione dell'appellante come persona irreversibilmente pericolosa e non inserita, legalmente, nel contesto sociale.

Per maggiori informazioni ed un preventivo contattare Rex Law all'indirizzo: renatomusella@hotmail.com

Separazione e divorzio: può essere oggetto di assegnazione solo la casa coniugale

Secondo una recentissima decisione della Corte di Cassazione (Cass. civ. Sez. I, 04/07/2011, n. 14553), l'assegnazione della casa familiare, poiché risponde all'esigenza di conservare l'habitat domestico, inteso come centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, è unicamente consentita in relazione all'immobile che abbia costituito centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza, con esclusione di ogni altro immobile di cui i coniugi abbiano la disponibilità.

Pertanto, è viziata per difetto di motivazione e contraddittorietà la pronuncia del Giudice di merito che, dopo aver ritenuto che un immobile non costituisce centro di affetti, interessi e rapporti la cui esistenza e permanenza legittima solitamente l'assegnazione dello stesso in favore del coniuge richiedente, disposta ugualmente l'assegnazione dello stesso.

Il luogo di consegna della merce determina la giurisdizione competente a decidere delle causa in materia di commercio internazionale

Secondo la giurisprudenza di merito (Tribunale di Novara, n. 464/2011) nelle ipotesi di contratti di compravendita internazionale di merci intercorsi tra società che prevedono come luogo di esecuzione della prestazione diversi stati, ai fini della individuazione della giurisdizione competente, deve tenersi conto del “luogo che presenta il collegamento più stretto con il contratto” nell'accezione di “luogo di consegna ove ha sede il distributore”.

Infatti, anche nell’ipotesi in cui la consegna della merce venga effettuata direttamente presso il terzo acquirente, gli aspetti logistici, amministrativi e commerciali della catena distributiva vengono gestiti presso la sede del distributore, sicché è presso di questa che trova attuazione la prestazione caratterizzante il contratto.

La sentenza in esame recepisce il principio affermato dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione secondo cui, in caso di più obbligazioni derivanti dal medesimo contratto, è l’obbligazione principale e caratterizzante il contratto a dover essere presa in considerazione ai fini della determinazione della giurisdizione, in modo da garantire una riconduzione ad unità, in sede processuale, del rapporto controverso ed evitare la frammentazione.

Alla luce dei principi della Suprema Corte, il luogo di consegna della merce diventa un criterio di collegamento fondamentale, che attrae tutte le domande relative ad un determinato titolo contrattuale.

E secondo la Corte di Giustizia Europea il luogo di consegna coincide con il luogo di esecuzione della prestazione principale sotto il profilo economico.

domenica 3 luglio 2011

Riconosciuto il danno da perdita di chance al passante investito anche se non dispone di un impiego al momento del sinistro

Secondo la Suprema Corte di Cassazione (Sent. 14278/2011), il soggetto, nel caso di specie un passante, che a subito danni a seguito di sinistro stradale ha diritto al risarcimento del danno patrimoniale da perdita di chance anche se al momento del sinistro non svolgeva alcuna attività lavorativa.

Il danno alla persona, infatti, secondo la Giurisprudenza di Legittimità, deve essere risarcito in maniera integrale con la conseguenza che all'infortunato deve essere riconosciuto il danno da da perdita di chance per riduzione della capacità lavorativa anche in assenza di un'attuale impiego.

Le conseguenze dell'abolizione del reato di immigrazione clandestina dopo la Sentenza della Corte di Giustizia Europea

Il 3/5/2011, la Corte di Giustizia ha dichiarato l'illegittimità rispetto al Diritto Comunitario della normativa nazionale che prevede il carcere per i cittadini di paesi extracomunitari per il solo fatto di non aver ottemperato nel termine di legge l'ordine di lasciare il territorio di uno Stato membro.

Nell'ordinamento giuridico iltaliano la nota Legge Bossi-Fini aveva introdotto il principio di punizione e costrizione fisica nei confronti degli immigrati che non obbediscono all’ordine di lasciare l’Italia ed aveva introdotto il reato di clandestinità, punito con la pena detentiva fino a 5 anni nel massimo edittale.

Era palese il contrasto tra le previsione contenute nella Legge Bossi-Fini e la Direttiva Europea 2008/115/CE, successivamente emanata, che ammetta il solo trattenimento fisico dei cittadini clandestini solo per il tempo strettamente necessario alla procedura di rimpatrio.

La Corte di Giustizia Europea ha definitivamente posto il rilievo il conflitto tra normativa comunitaria e normativa interna, disponendo che la direttiva 2008/115/CE deve essere interpretata nel senso che la normativa di uno Stato membro non può prevedere l’irrogazione della pena della reclusione per la sola ragione che un cittadino di un paese terzo, il cui soggiorno sia irregolare, abbia violato l’ordine di lasciare il Paese entro un determinato termine.


Di conseguenza sono stati o sono in via di interruzione tutti i processi instaurati contro i clandestini, e ciò in virtù della “abolitio criminis”.

Sempre in applicazione di tale principio, le condanne già inflitte sono in corso di annullamento, in applicazione dell’art. 2 c.p. in fornza del quale nessuno può essere punito per un fatto non previsto dalla legge come reato.

Il Tribunale di Roma sfida la Corte di Cassazione sugli effetti della cancellazione dal registro delle imprese delle società di persone

Il Tribunale di Roma (Trib. Roma Sez. III, 23/05/2011), in materia di effetti dell'estinzione della società, detta un nuovo principio in materia di applicazione alle società di persone della normativa dettata in materia di effetti estintivi della cancellazione dell'ente dal registro delle imprese.

Come noto, con riferimento alle società di capitali, ai sensi dell'art. 2945 cod. civ., la cancellazione dal registro delle imprese produce l'effetto costitutivo dell'estinzione irreversibile della società, anche in presenza di crediti insoddisfatti e di rapporti di altro tipo non definiti. 

Tale norma, peraltro, non disciplinando le condizioni per la cancellazione, ma gli effetti della stessa, vale a dire la situazione giuridica della società cancellata, per costante Giurisprudenza, trova applicazione anche in riferimento alle cancellazioni intervenute in epoca anteriore alla sua entrata in vigore. 

Infatti, l'art. 2945 cod. civ., è considerata norma innovativa ed ultrattiva, che disciplina gli effetti delle cancellazioni delle iscrizioni di società di capitali e cooperative intervenute anche precedentemente alla sua entrata in vigore.

Tuttavia, secondo il principio dettato dal Tribunale di Roma, con riferimento alle società di persone, l'estinzione della società non si produce per effetto della relativa cancellazione dal registro delle imprese, laddove tale formalità non sia preceduta dalla definizione di tutti i rapporti di debito e di credito facenti capo all'agente, trova applicazione solo in riferimento alle sole società di persone, alle quali non si estende l'efficacia dell'inequivoca previsione dell'articolo 2495 c.c. 


Pertanto, non è la cancellazione dal registro delle imprese della società di persone a determinare l'estinzione dell'ente, l'effetto costitutivo dell'estinzione è prodotto esclusivamente dalla definizione dei rapporti patrimoniali.

La sentenza del Tribunale di Roma si pone in leggero contrasto con il recente orientamento della  Suprema Corte di Cassazione (Sent. 4062/2010).

Secondo la Suprema Corte, l'art. 2495 c.c., comma 2, come modificato dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 4, è norma innovativa e ultrattiva, che disciplina gli effetti delle cancellazioni delle iscrizioni di società di capitali e cooperative intervenute anche precedentemente alla sua entrata in vigore (1 gennaio 2004).


Con particolare riferimento alle società di persone, cui - secondo la Corte di Cassazione, la norma in oggetto è senz'altro applicabile per analogia, esclusa l'efficacia costitutiva della cancellazione iscritta nel registro, può comunque affermarsi la efficacia dichiarativa della pubblicità della cessazione dell'attività dell'impresa collettiva, opponibile dal 1 luglio 2004 ai creditori che agiscano contro i soci, ai sensi degli artt. 2312 e 2324 c.c. 

In forza di tali norme si giunge ad una presunzione del venir meno delle loro capacità processuale e legittimazione, anche nel caso in cui perdurino rapporti o azioni in cui le stesse società sono parti.

La natura costitutiva riconosciuta per legge a decorrere dal 1 gennaio 2004, degli effetti delle cancellazioni già iscritte e di quelle future per le società di capitali che con esse si estinguono, comporta, anche per le società di persone che, a garanzia della parità di trattamento dei terzi creditori di entrambi i tipi di società, si abbia una vicenda estintiva analoga con la fine della vita di queste contestuale alla pubblicità, che resta dichiarativa.

Per queste ultime, come la loro iscrizione nel registro delle imprese ha natura dichiarativa, anche la fine della loro legittimazione e soggettività è soggetta a pubblicità della stessa natura, desumendosi l'estinzione di esse dagli effetti della novella dell'art. 2495 c.c., sull'intero titolo 5^ del Libro quinto del codice civile dopo la riforma parziale di esso, ed è l'evento sostanziale che la cancellazione rende opponibile ai terzi (art. 2193 c.c.) negli stessi limiti temporali indicati per la perdita della personalità delle società oggetto di riforma".

Il Commissario Governativo è responsabile nei confronti dei soci della Cooperativa per gli atti di mala gestio compiuti ed anche se non è nominato dall'Assemblea dei soci è responsabile verso la stessa

Secondo la giurisprudenza di merito, in materia di società cooperative, nei confronti del Commissario governativo, in caso di sua nomina per fronteggiare vicende critiche nella vita della Cooperativa, ben può profilarsi una responsabilità di natura contrattuale nei riguardi della società che il Commissario gestisca in sostituzione degli amministratori revocati. 

Infatti, se, da un lato, deve rilevarsi l'insussistenza di un rapporto fiduciario fra il Commissario governativo e l'assemblea dei soci della cooperativa, che invero in questi casi è esautorata dal potere di nomina dell'organo amministrativo (art. 2542 c.c.), è, dall'altro, altrettanto vero che il Commissario esercita gli stessi poteri degli amministratori e può compiere tutti gli atti che rientrano nell'oggetto sociale, proprio in quanto organo amministrativo della società a tutti gli effetti. 

Peraltro dal momento che l'azione di responsabilità ex art. 2393 c.c. verso il Commissario governativo ha natura contrattuale, conseguentemente, in tema di onere della prova, su chi la promuove - i soci della Cooeprativa - grava esclusivamente l'onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sul Commissario l'onere di dimostrare la non imputabilità a sè del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell'osservanza dei doveri e dell'adempimento degli obblighi loro imposti.

La conclusione cui giunge il Tribunale di Rome è molto importante in quanto, oltre a legittimare i soci della Cooperativa ad instaurare una causa di responsabilità verso il Commissario Governativo nei casi di mala gestio, chiarendo la natura comunque contrattuale del rapporto tra lo stesso Commissario ed i soci, determina anche la distribuzione dell'onere della prova circa i fatti di mala gestio contestati tra i soci ed il Commissario.

La Corte di Giustizia Europea legittima il monopolio pubblico in materia di gioco d'azzardo, ma solo se effettivamente giustificato dalla prevenzione di dipendenza da gioco e dalla lotta al crimine

Secondo la Corte di Giustizia Europea (Corte giustizia Unione Europea Sez. VIII, 30/06/2011, n. 212), lo Stato membro, che intenda assicurare un livello di tutela dei consumatori particolarmente elevato nel settore dei giochi di azzardo, può legittimamente concedere i diritti esclusivi di esercizio della relativa attività ad un organismo unico, assoggettato ad uno stretto controllo da parte delle autorità pubbliche.

Lo Stato membro tuttavia deve essere in grado di controllare i rischi connessi al gioco d'azzardo, in particolar modo impegnandosi attivamente nella prevenzione di eccessi da parte dei consociati e controllando che i cittadini non sperperimo le proprie ricchezze nel gioco.

Lo Stato membro, nel momento in cui sceglie di regolamentare il settore del giuoco e delle scommesse adottando un regime di monopolio, deve attivarsi nella lotta alla dipendenza dal gioco in modo sufficientemente efficace.

Sotto un diverso profilo, per perseguire in modo efficace la lotta alla criminalità, la legislazione nazionale - che instaura un monopolio in materia di giochi di azzardo - deve necessariamente fondarsi sul riconoscimento che le attività criminali e fraudolente connesse ai giochi e la dipendenza dagli stessi costituiscono un problema nel territorio dello Stato, cui può essere posto rimedio con un'attenta regolamentazione delle attività autorizzate.

Per perseguire tali obiettivi, lo Stato membro può anche procedere ad una limitazione e controlllo della pubblicità/attività commerciale che deve essere strettamente limitata e finalizzata esclusivamente a canalizzare i consumatori verso le reti di gioco controllate. 

Dalla decisione dei Giudici Comunitari sembra potersi concludere che nel caso in cui la legislazione nazionale non sia effettivamente votata al perseguimento dei propri fini ultimi (prevenzione della dipendenza da gioco d'azzardo e lotta alla criminalità) il regime di monopolio è illegittimo.
La Sentenza in esame inoltre potrebbe essere anche inquadrata nell'ambito della tutela dei diritti umani.

Infatti, non si può escludere che qualora lo Stato membro il quale decida per un regime di monopolio nella regolamenetazione del gioco e delle scommesse anche al fine di prevenire i fenomeni di dipendenza dal gioco d'azzardo, ed il quale emani nei fatti una legislazione che non persegua con efficacia la lotta alla dipendenza dal gioco d'azzardo, sia responsabile nei confronti dei cittadini.

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