La Corte Costituzionale (Sent. n. 245/2011) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 116 cod. civ. nella parte in cui richiede che possa contrarre matrimonio solo lo straniero che sia in possesso di un documento attestante il regolare soggiorno in Italia.
Secondo la Consulta infatti la norma in esame infatti contrasterebbe:
con l’art. 2 Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità;
con l’art. 3 Cost., per violazione del principio di eguaglianza e di ragionevolezza;
con l’art. 29 Cost., per violazione del diritto fondamentale a contrarre liberamente matrimonio e di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi sui quali è ordinato il sistema del matrimonio nel vigente ordinamento giuridico;
con l’art. 31 Cost., perché interpone un serio ostacolo alla realizzazione del diritto fondamentale a contrarre matrimonio;
con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 12 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).
In particolare, sempre secondo la Consulta, il matrimonio costituisce espressione della libertà e dell’autonomia della persona, ed il diritto di contrarre liberamente matrimonio è pertanto oggetto della tutela inderogabile garantita dagli artt. 2, 3 e 29 Cost., in quanto rientra nei diritti inviolabili dell’uomo, caratterizzati dall’universalità e dall'assolutezza.
Peraltro, la Carta Costituzionale italiana, all’art. 31 Cost., nel sancire che la Repubblica agevola la formazione della famiglia, esclude la legittimità di limitazioni di qualsiasi tipo alla libertà matrimoniale, libertà chiaramente ostacolata dalla previsione di cui all'art. 116 cod. civ. in esame.
La libertà di contrarre matrimonio trova ulteriore fondamento anche nell’art. 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, nell'art. 12 della CEDU e nell’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e successivamente recepita dal Trattato di Lisbona.
In particolare, con specifico riferimento all’art. 12 della CEDU, tale norma contempla la libertà matrimoniale quale diritto e libertà che devono essere assicurati senza distinzione di sorta. Lo stesso art. 12 della CEDU, pur prevedendo che tale diritto debba essere esercitato nell’ambito della legislazione nazionale, non consente che le legislazioni dei singoli Stati possano porre condizioni o restrizioni irragionevoli.
La Corte Costituzionale già in precedenza (sentenze n. 61 del 2011, n. 187 del 2010 e n. 306 del 2008) aveva affermato che al legislatore italiano è certamente consentito dettare norme, non palesemente irragionevoli e non contrastanti con obblighi internazionali, che regolino l’ingresso e la permanenza di stranieri extracomunitari in Italia.
Tali norme, però, devono costituire pur sempre il risultato di un ragionevole e proporzionato bilanciamento tra i diversi interessi, di rango costituzionale, implicati dalle scelte legislative in materia di disciplina dell’immigrazione, specialmente quando si tratti di norme che siano suscettibili di incidere sul godimento di diritti fondamentali, tra i quali certamente rientra quello «di contrarre matrimonio, discendente dagli articoli 2 e 29 della Costituzione, ed espressamente enunciato nell’articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e nell’articolo 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali» (sentenza n. 445 del 2002).
Vero è secondo la Consulta che la essenziale differenza esistente tra il cittadino e lo straniero può giustificare un loro diverso trattamento nel godimento di certi diritti (sentenza n. 104 del 1969), in particolare consentendo l’assoggettamento dello straniero «a discipline legislative e amministrative» ad hoc (l’individuazione delle quali resta comunque collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici - sentenza n. 62 del 1994 - quali quelli concernenti «la sicurezza e la sanità pubblica, l’ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in tema di immigrazione).
Tuttavia, resta pur sempre fermo che i diritti inviolabili, di cui all’art. 2 Cost., spettano «ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani», di talché la «condizione giuridica dello straniero non deve essere pertanto considerata – per quanto riguarda la tutela di tali diritti – come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi» (sentenza n. 249 del 2010).
Si impone, pertanto, la conclusione secondo cui la previsione di una generale preclusione alla celebrazione delle nozze, allorché uno dei nubendi risulti uno straniero non regolarmente presente nel territorio dello Stato, rappresenta uno strumento non idoneo ad assicurare un ragionevole e proporzionato bilanciamento dei diversi interessi coinvolti nella presente ipotesi, specie ove si consideri che il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) già disciplina alcuni istituti volti a contrastare i cosiddetti “matrimoni di comodo”.
Ed infatti, il Testo Unico sull'immigrazione prevede che il permesso di soggiorno «è immediatamente revocato qualora sia accertato che al matrimonio non è seguita l’effettiva convivenza salvo che dal matrimonio sia nata prole.
Inoltre, la Corte Costituzionale ha senz'altro adeguato il proprio orientamento a quello della Corte di Giustizia Europea, la quale ha affermato che il margine di apprezzamento riservato agli Stati membri non può estendersi fino al punto di introdurre una limitazione generale, automatica e indiscriminata, ad un diritto fondamentale garantito dalla Convenzione (par. 89 della sentenza).
Secondo i giudici di Strasburgo, pertanto, la previsione di un divieto generale, senza che sia prevista alcuna indagine riguardo alla genuinità del matrimonio e della relazione affettiva tra i nubendi, è lesiva del diritto di cui all’art. 12 della Convenzione.
Detta evenienza ricorre anche nel caso previsto dalla norma di cui all'art. 116 cod. civ., dal momento che il legislatore – lungi dal rendere più agevole le condizioni per l’accertamento del carattere eventualmente “di comodo” del matrimonio di un cittadino con uno straniero – ha dato vita, appunto, ad una generale preclusione a contrarre matrimonio a carico di stranieri extracomunitari non regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato.
Secondo la Consulta infatti la norma in esame infatti contrasterebbe:
con l’art. 2 Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità;
con l’art. 3 Cost., per violazione del principio di eguaglianza e di ragionevolezza;
con l’art. 29 Cost., per violazione del diritto fondamentale a contrarre liberamente matrimonio e di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi sui quali è ordinato il sistema del matrimonio nel vigente ordinamento giuridico;
con l’art. 31 Cost., perché interpone un serio ostacolo alla realizzazione del diritto fondamentale a contrarre matrimonio;
con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 12 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).
In particolare, sempre secondo la Consulta, il matrimonio costituisce espressione della libertà e dell’autonomia della persona, ed il diritto di contrarre liberamente matrimonio è pertanto oggetto della tutela inderogabile garantita dagli artt. 2, 3 e 29 Cost., in quanto rientra nei diritti inviolabili dell’uomo, caratterizzati dall’universalità e dall'assolutezza.
Peraltro, la Carta Costituzionale italiana, all’art. 31 Cost., nel sancire che la Repubblica agevola la formazione della famiglia, esclude la legittimità di limitazioni di qualsiasi tipo alla libertà matrimoniale, libertà chiaramente ostacolata dalla previsione di cui all'art. 116 cod. civ. in esame.
La libertà di contrarre matrimonio trova ulteriore fondamento anche nell’art. 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, nell'art. 12 della CEDU e nell’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e successivamente recepita dal Trattato di Lisbona.
In particolare, con specifico riferimento all’art. 12 della CEDU, tale norma contempla la libertà matrimoniale quale diritto e libertà che devono essere assicurati senza distinzione di sorta. Lo stesso art. 12 della CEDU, pur prevedendo che tale diritto debba essere esercitato nell’ambito della legislazione nazionale, non consente che le legislazioni dei singoli Stati possano porre condizioni o restrizioni irragionevoli.
La Corte Costituzionale già in precedenza (sentenze n. 61 del 2011, n. 187 del 2010 e n. 306 del 2008) aveva affermato che al legislatore italiano è certamente consentito dettare norme, non palesemente irragionevoli e non contrastanti con obblighi internazionali, che regolino l’ingresso e la permanenza di stranieri extracomunitari in Italia.
Tali norme, però, devono costituire pur sempre il risultato di un ragionevole e proporzionato bilanciamento tra i diversi interessi, di rango costituzionale, implicati dalle scelte legislative in materia di disciplina dell’immigrazione, specialmente quando si tratti di norme che siano suscettibili di incidere sul godimento di diritti fondamentali, tra i quali certamente rientra quello «di contrarre matrimonio, discendente dagli articoli 2 e 29 della Costituzione, ed espressamente enunciato nell’articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e nell’articolo 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali» (sentenza n. 445 del 2002).
Vero è secondo la Consulta che la essenziale differenza esistente tra il cittadino e lo straniero può giustificare un loro diverso trattamento nel godimento di certi diritti (sentenza n. 104 del 1969), in particolare consentendo l’assoggettamento dello straniero «a discipline legislative e amministrative» ad hoc (l’individuazione delle quali resta comunque collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici - sentenza n. 62 del 1994 - quali quelli concernenti «la sicurezza e la sanità pubblica, l’ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in tema di immigrazione).
Tuttavia, resta pur sempre fermo che i diritti inviolabili, di cui all’art. 2 Cost., spettano «ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani», di talché la «condizione giuridica dello straniero non deve essere pertanto considerata – per quanto riguarda la tutela di tali diritti – come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi» (sentenza n. 249 del 2010).
Si impone, pertanto, la conclusione secondo cui la previsione di una generale preclusione alla celebrazione delle nozze, allorché uno dei nubendi risulti uno straniero non regolarmente presente nel territorio dello Stato, rappresenta uno strumento non idoneo ad assicurare un ragionevole e proporzionato bilanciamento dei diversi interessi coinvolti nella presente ipotesi, specie ove si consideri che il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) già disciplina alcuni istituti volti a contrastare i cosiddetti “matrimoni di comodo”.
Ed infatti, il Testo Unico sull'immigrazione prevede che il permesso di soggiorno «è immediatamente revocato qualora sia accertato che al matrimonio non è seguita l’effettiva convivenza salvo che dal matrimonio sia nata prole.
Inoltre, la Corte Costituzionale ha senz'altro adeguato il proprio orientamento a quello della Corte di Giustizia Europea, la quale ha affermato che il margine di apprezzamento riservato agli Stati membri non può estendersi fino al punto di introdurre una limitazione generale, automatica e indiscriminata, ad un diritto fondamentale garantito dalla Convenzione (par. 89 della sentenza).
Secondo i giudici di Strasburgo, pertanto, la previsione di un divieto generale, senza che sia prevista alcuna indagine riguardo alla genuinità del matrimonio e della relazione affettiva tra i nubendi, è lesiva del diritto di cui all’art. 12 della Convenzione.
Detta evenienza ricorre anche nel caso previsto dalla norma di cui all'art. 116 cod. civ., dal momento che il legislatore – lungi dal rendere più agevole le condizioni per l’accertamento del carattere eventualmente “di comodo” del matrimonio di un cittadino con uno straniero – ha dato vita, appunto, ad una generale preclusione a contrarre matrimonio a carico di stranieri extracomunitari non regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato.
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