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venerdì 17 febbraio 2012

Cambiali e titoli di credito: il possesso della cambiale non vale titolo... bisogna dimostrare il diritto di credito

La Suprema Corte (Sent. n. 63/2012) ha consacrato il principio secondo cui il mero possessore della cambiale non ha diritto al pagamento se non fornisce la prova del diritto di credito di cui al pagherò cambiario.


Il mero possessore di un titolo di credito cartolare che non risulti prenditore né giratario dello stesso, qualora manchi sul titolo l'indicazione del beneficiario, non può considerarsi legittimato alla pretesa del credito ivi contenuto, se non dimostra l'esistenza del rapporto giuridico da cui deriva tale credito.

Infatti il principio del possesso del titolo non trova applicazione in materia di titoli di credito, dal momento che si può certo escludere che esso sia pervenuto al possessore in modo illecito.

Peraltro, chiarisce la Suprema Corte, in tali ipotesi il titolo non potrebbe neppure valere come promessa di pagamento, ai sensi dell'art. 1988 cod. civ., poiché tale norma opera solo nei confronti di colui a cui la promessa sia stata effettivamente fatta.

Ne consegue che il mero possessore di un titolo all'ordine (privo di valore cartolare), qualora non risulti nella veste di beneficiario dal documento, deve fornire la prova dei fatti costitutivi del suo diritto.

giovedì 16 febbraio 2012

Web-reputation: il direttore di giornali online non risponde per i commenti diffamatori

Con la Sentenza n. 44126/2011, la Corte di Cassazione ha fatto luce in merito ad un problematica molto attuale nell'era dell'informatizzazione e della diffusione dei giornali o riviste online e dei blog, vale a dire il problema della responsabilità penale dell'editore in merito ai commenti degli utenti.

E' noto che ormai tutti i quotidiani e riviste online danno la possibilità ai lettori di commentare le notizie per creare una sorta di interazione. Naturalmente, capita, e pure spesso, che si leggano commenti violenti e volgari contro soggetti richiamati nell'articolo.

Come noto, l'art. 57 del codice penale, che punisce i reati commessi col mezzo della stampa periodica, sanziona penalmente il direttore o il vice-direttore responsabile il quale ometta di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che, col mezzo della pubblicazione, siano commessi reati.


Era controverso se tale norma fosse applicabile anche ai commenti dei lettori, che spesse volte sono oggetto di moderazione prima di essere pubblicati.

I dubbi erano accresciuti dalle Disposizioni Sulla Stampa, secondo cui sono considerate stampe o stampati tutte le riproduzioni tipo grafiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione.


Secondo la Corte di Cassazione, la norma penalistica di cui all'art. 57 cod. pen. non è suscettibile di applicazione con riferimento ai commenti dei lettori.

Infatti, secondo la Suprema Corte, la soluzione della diatriba risiede in una interpretazione letterale delle Disposizioni Sulla Stampa.

Infatti, dalla lettura della normativa in materia si evince che si può parlare di stampa in senso giuridico se ricorrono due condizioni: a) che vi sia una riproduzione tipografica, b) che il prodotto di tale attività (quella tipografica) sia destinato alla pubblicazione attraverso una effettiva distribuzione tra il pubblico.

Le pubblicazioni online non presentano alcuno dei requisiti, in quanto non consistono in molteplici riproduzioni su più supporti fisici di uno stesso testo redatto in originale, al fine della distribuzione presso il pubblico.

Il testo pubblicato su Internet esiste come unicum all'interno della pagina di pubblicazione, anche se può essere visualizzato sugli schermi di un numero indefinito di dispositivi hardware.

La diffusione del contenuto del periodico on-line avviene dunque non mediante la distribuzione del supporto fisico in cui è inserito, quanto piuttosto attraverso la visualizzazione del suo contenuto attraverso i pc collegati alla rete proprio come avviene per le notizie trasmesse dai telegiornali, che vengono visualizzate sugli apparati privati dei telespettatori.

La Corte di Cassazione ha negato che al direttore della testata televisiva sia applicabile la normativa di cui all’art. 57 c.p., proprio per la diversità strutturale tra i due mezzi di comunicazione e per la impossibilità di operare, in materia penale, una analogia in malam partem.


Se quindi il direttore non può essere ritenuto responsabile ex art. 57 cod. pen. per l'articolo in sé stesso, tanto meno potrà essere considerato responsabile per i commenti "postati" direttamente dall’utenza, senza alcuna possibilità di controllo preventivo da parte del direttore della testata.

Vi è una vera e propria impossibilità per il direttore della testata di impedire la pubblicazione di commenti diffamatori, il che rende evidente che la norma contenuta nell’articolo 57 del codice penale non è stata pensata per queste situazioni, perché costringerebbe il direttore ad una attività impossibile, ovvero lo punirebbe automaticamente ed oggettivamente, senza dargli la possibilità di tenere una condotta lecita.

Per concludere, quindi, l’inapplicabilità dell’articolo 57 del codice penale al direttore delle riviste on-line discende sia dalla impossibilità di ricomprendere quest’ultima attività nel concetto di stampa periodica, sia per l’oggettiva impossibilità del direttore responsabile di rispettare il precetto normativa, il che comporterebbe la sua punizione a titolo di responsabilità oggettiva, dato che verrebbe meno non solo il necessario collegamento psichico tra la condotta del soggetto astrattamente punibile e l’evento verificatosi, allo stesso nesso causale.







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