Secondo la Giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. n. 18852/2011) il tradimento del coniuge si configura come un illecito civile ed in quanto tale può essere risarcito in via autonoma e, quindi, anche fuori dall'ambito del giudizio di separazione.
Il principio consacrato dalla Suprema Corte, effettivamente, aggrava il concetto di addebito nella separazione, alzando, e non di poco, i costi e gli impatti economici della separazione.
Il tradimento, infatti, determina la violazione di diritti di rango costituzionale, quali la salute della persona tradita e la sua dignità, determinando la responsabilità di chi lo ha provocato.
Infatti, i doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e la loro violazione non trova necessariamente sanzione unicamente nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, quale l'addebito della separazione.
Il principio enunciato dalla Suprema Corte ad avviso di chi scrive potrebbe avere applicazione estensiva, quanto meno con riferimento alle convivenze more uxorio, dal momento che il rapporto di fiducia ed il livello di compenetrazione spirituale intercorrente tra i conviventi more uxorio non è meno pregnante e degno di tutela di quello proprio del rapporto coniugale.
Escludendo l'applicabilità di tale principio alle convivenze more uxorio, si configurerebbe una aperta violazione del principio di uguaglianza formale (art. 3 comma I Cost.), assicurando una tutela inferiore al partner tradito nella coppia non coniugata rispetto al coniuge.
Infatti, il risarcimento del danno in caso delle cosiddette corna opera per la violazione di diritti costituzionalmente garantiti, quale, secondo la Suprema Corte, il diritto alla salute e la dignità del partner tradito e rappresenta una fattispecie di danno autonoma, risarcibile, si ribadisce, anche al di fuori del giudizio di separazione o divorzio.
Nessun commento:
Posta un commento