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giovedì 14 febbraio 2013

Tra Web Reputation e lotta al Cyberbullismo: gli insulti su Facebook possono costare cari

Aggirandomi tra social networks e forum sono sempre rimasto stupito dalla frequenza e dalla facilità con cui gli utenti della rete litigano e si insultano tra loro, spesso utilizzando espressioni offensive e violente.

Di fronte a questo fenomeno, mi sono sempre chiesto se i cybernauiti si pongano il problema delle possibili conseguenze giuridiche di quei battibecchi solo (e sottolineo solo) apparentemente innocui.

Anzi, rigiro a voi la stessa domanda. Se e quando avete insultato qualcuno su internet, vi siete posti il problema che quell’insulto potesse essere foriero di conseguenze giuridiche?

Se la risposta è no, avete agito con leggerezza. Ma è del tutto normale.

La rete, infatti, riduce di molto, fino ad annullare, la percezione della realtà. Internet si presenta come un mondo parallelo, dove tante persone, celandosi dietro pseudonimi e sentendosi protette dal fatto di essere dietro ad uno schermo, commettono atti che probabilmente nella realtà non farebbero mai.

Non è una questione di “fegato” (per usare un eufemismo), è una mera questione di percezione (o meglio di mancata percezione) della realtà e delle possibili conseguenze delle proprie azioni, quando vengono commesse online.

Siccome, tuttavia, è solo una impressione e non valgono, quindi, i principi della fenomenologia dello spirito, può accadere che un bel giorno ci piova addosso una bella secchiata d’acqua, che ci riporta alla cruda realtà.

E’ più o meno quello che è successo ad una ragazza toscana, che, licenziata dal datore di lavoro, aveva ben pensato di insultarlo attraverso la bacheca di un noto social network.

Il personaggio in questione ha presentato una querela ed il risultato è stata, per la ragazza, una doccia gelata, che nel nostro caso assume le vesti di una sentenza pesantissima, di quelle che fanno riflettere, soprattutto in considerazione della sua portata applicativa.

Secondo la giurisprudenza del Tribunale di Livorno, il post diffamatorio integrerebbe addirittura gli estremi del reato di diffamazione a mezzo stampa, così di fatto equiparando la bacheca privata di un fruitore di social network (per quanto privata possa dirsi ogni pubblicazione sui social network) alla pubblicazione su un quotidiano o su un sito editoriale.

La giurisprudenza ha messo sullo stesso piano la capacità di diffusione e di danno all’immagine di un social network a quella di un giornale oppure di una televisione.

E ciò a causa della loro capacità di diffusione incontrollata.

Dopotutto la tesi, seppur con qualche precisazione, è condivisibile, in quanto la pubblicazione di un post su social network ha potenzialmente l'idoneità di entrare in relazione con un numero indeterminato di partecipanti.

Ne è la prova il fenomeno del cosiddetto cyber bullismo, vale a dire l'attività criminosa dei bulli da tastiera, i quali, nascondendosi dietro lo schermo del monitor, non esitano a distruggere la reputazione, l'onore ed il decoro delle proprie vittime, con risultati spesso nefasti.

La percezione di ciò che è lecito e ciò che non lo è nel mondo dell’etere è ad un livello bassissimo ed il passo tra gli insulti una tantum ed il cyber bullismo è breve.

Sbagliano, quindi, i garantisti ad oltranza che vedono nella sentenza in esame una bomba ad orologeria pronta ad esplodere in una gara all’ultima querela per diffamazione.

Ho letto commenti in cui si afferma che una siffatta sentenza finirebbe per rendere Facebook un luogo di terrore, più che di piacere e distensione.

Al di là del fatto che definire un social network un luogo di piacere e distensione è alquanto discutibile, poiché, con tutto il rispetto, non si può equiparare Facebook ad una spiaggia sulla costiera amalfitana.

Se poi per distendersi e rilassarsi ci si diletta a distribuire insulti gratuiti, c’è qualcosa che non va.
 
In ogni caso al di là dell’aggravante “del mezzo della stampa”, comunque questo tipo di comportamento integra il reato di diffamazione, generalmente inteso, che punisce la condotta di chi "comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione".

La reputazione, l'onore ed il decoro sono diritti inviolabili ed indisponibili della persona e la norma penale non fa altro che rafforzare la tutela già accordata dalla legge civile, proprio in considerazione della loro importanza.

Pertanto, anche in ragione della gravità di questo fenomeno che spesso sfocia nel cyber bullismo, ritengo (da cittadino) inopportuni commenti ultra garantistici, poiché, se ci si comporta secondo le regole della buona educazione e del rispetto reciproco (ricordarsi sempre di "non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te stesso"), nessun social network potrà essere reso "un luogo di terrore" da una sentenza di un Tribunale.

La giurisprudenza non fa altro che cogliere i segnali di allarme che provengono dalla società civile e, per imporre il rispetto di principi indisponibili ed inviolabili della persona, ha riconosciuto l'applicabilità della fattispecie più grave di diffamazione, vale a dire quella a mezzo stampa ex art. 595 c.p. comma III (fino a tre anni di reclusione e multa non inferiore agli € 516,00).

Sono il cyber bullismo e gli abusi di chi pensa di avere il mondo in pugno nascondendosi dietro ad uno schermo a rendere il social network un inferno.

E’ bene, quindi, sapere che, se si trova la persona sbagliata, insulti, oscenità e espressioni lesive della reputazione scritti a cuor leggero su internet possono costare molto cari.

Peraltro, quella del Tribunale di Livorno non è una decisione isolata, in quanto precedentemente anche il Tribunale di Monza, in una delle prime pronunce in tema di risarcimento per danni illeciti compiuti sui social network, aveva stabilito un risarcimento di ben 15.000,00 euro in favore di un soggetto risultato vittima di un messaggio diffamatorio tramite Facebook, proprio rinvenendo in siffatte condotte gli estremi della diffamazione a mezzo stampa.

L'unico tallone di Achille di queste decisioni è rappresentato da una Sentenza della Corte di Cassazione dell'ottobre 2011, con cui veniva data una definizione di "mezzo stampa" rilevante ai fini dell'applicazione dell'aggravante ex art. 595 comma III c.p., da cui erano esclusi forum e social network.

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