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giovedì 10 gennaio 2013

La Cassazione ha veramente ammesso gli accordi prematrimoniali con riferimento ai rapporti economici tra i coniugi? Sent. 23713/2012 apertura o sensazionalismo mediagiuridico?

Ho notato un gran risalto attribuito ad una recente sentenza della Suprema Corte, che, secondo la tesi dei commentatori, avrebbe addirittura ammesso nell'ordinamneto italiano i famigerati accordi prematrimoniali, comunissimi all'estero ed aborriti da noi (chissà poi perché mai).

Mi sono quindi scaricato il testo integrale della sentenza e codice commentato alla mano mi sono lanciato in una attenta lettura, per verificare se è giustificato tanto entusiasmo.

Partiamo dal dato certo. La scrittura privata (di fatto un contratto), sottoscritta dai nubendi (i così detti fidanziati in gergo comune) prima della celebrazione del matrimonio, è valida.

Il dato certo già di per sé considerato è importantissimo, dato che i precedenti giurisprudenziali erano orientati a ritenere tali accordim nulli per illiceità della causa, perché in contrasto con i principi di indisponibilità degli status e dello stesso assegno di divorzio (per tutte, Cass. n. 6857 del 1992).

Vero è che tale orientamento era già stato criticato da parte della dottrina, in quanto trascurerebbe di considerare adeguatamente i principi del sistema normativo, ormai orientato a riconoscere sempre più ampi spazi di autonomia ai coniugi, anche nell'ottica di fronteggiare la eventuale crisi coniugale, non potendo certo prevenirla.


Sulle ali della dottrina, la giurisprudenza più recente aveva già sostenuto che potenzialmente ed in linea teorica accordi prematrimoniali non sarebbero di per sé contrari all’ordine pubblico; ciò perché, secondo la Giurisprudenza successiva il divieto di accordi prematrimoniali opererebbe solo nell'ambito della tutela del coniuge economicamente più debole, e l’azione di nullità sarebbe proponibile soltanto da questo (al riguardo, tra le altre, Cass. n. 8109 del 2000; n. 2492 del 2001; n. 5302/2006).

Quindi se già il rapporto prematrimoniale potrebbe avere una sua validità potenziale ed addirittura derogare al principio di indisponibilità dell'assegno di mantenimento nel caso in cui nella coppia manchi una parte debole, a maggior ragione si deve ammettere la validità di accordi che configurino veri e propri rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive tra i coniugi in caso di divorzio, una sorta di datio in solutum tra i coniugi, senza andare ad intaccare l'eventuale mantenimento, ad esempio nel caso in cui uno dei nubendi prometta all'altro un bene in caso di divorzio al fine di indennizzarlo di spese sostenute, proprio come nel caso deciso dalla Corte di Cassazione con Sentenza n. 23713/2012.

Pertanto, nel caso deciso dalla Suprema Corte e così esaltato dai media giuridici, non si fa altro che ammettere la possibilità che due fidanzatini, forse più pragmatici di quelli che passano dalle fette di salame sugli occhi alla guerra dei roses, prima di sposarsi decidano che, in caso di fallimento del loro matrimonio, quello che ha speso di più verrà indennizzato dall'altro.

In tali ipotesi, si profilerebbe - più che un accordo prematrimoniale tout court - un mero accordo tra le parti, libera espressione della loro autonomia negoziale, estraneo peraltro alla categoria degli accordi prematrimoniali in vista del divorzio.

Più che di accordo prematrimoniale si dovrebbe parlare di contratto a prestazioni corrispettive, vanificando quindi il sensazionalismo attribuito alla sentenza in esame. Semmai più innovative potrebbero essere considerate le sentenza sopra richiamate.

Quello che però interessa nella sentenza in esame è la declaratoria di liceità della condizione sospensiva "divorzio".

In poche parole, la Corte di Cassazione ci dice che il "divorzio" può rappresentare una condizione sospensiva.

La condizione contrattuale "divorzio", è ammissibile in quanto non è una condizione meramente potestativa, e cioè dipendente dalla mera volontà di uno dei contraenti, in quanto al di là di eventuali addebiti e responsabilità, il divorzio nel matrimonio è comunque un evento futuro ed incerto.

La condizione del divorzo non può neppure considerarsi in contrasto con norme imperative, l’ordine pubblico, il buon costume, in quanto si presume, salvo prova contraria, che i coniugi prima della crisi abbiano adempiuto ai propri doveri familiari ed in particolare dovere reciproco di contribuzione di cui all’art. 143 c.c..

Con la contribuzione in costanza di matrimonio, si è realizzato dunque il soddisfacimento reciproco dei bisogni materiali e spirituali di ciascun coniuge, con i mezzi derivati dalle sostanze e dalle capacità di ognuno di essi.

Pertanto la condizione divorzio astrattamente intesa è perfettamente lecita e, nella specie, può essere inserita in un contratto atipico, espressione dell’autonomia negoziale dei coniugi, sicuramente diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela, con la conseguenza che l'ordinamento italiano si può aprire, nei limiti anzi detti, agli accordi prematrimoniali.

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