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sabato 28 gennaio 2012

Rexlaw: Imprese - anche individuali - e modelli 231/2001 - dalle origini alla sentenza Thyssenkrupp.

Le conclusioni del processo penale contro il management della Thyssenkrupp ha portato agli onori della cronaca le conseguenze – gravi e rilevanti – dell’applicazione del Decreto Legislativo n. 231/2001, che ha introdotto ormai da oltre 10 anni nel nostro ordinamento giuridico il principio di responsabilità degli enti con riferimento ai reati commessi da amministratori, dirigenti o dipendenti nell’interesse e a vantaggio dell’azienda stessa.

La responsabilità introdotta dalla normativa in esame, sebbene definita “amministrativa” dal legislatore, in realtà ha natura penale, avendo la stessa origine dalla commissione di reati da parte di persone fisiche da cui sia derivato un profitto per l’ente collettivo.

Si tratta inoltre di una responsabilità diretta, e quindi soggettiva, in quanto ascrivibile a fatto e colpa dell’ente stesso e, più in particolare, da una colpa – grave - dell’organizzazione dell’impresa, che viene sempre presunta.

E tale presunzione può essere superata, in virtù della circostanza esimente prevista dall’art. 6 del decreto stesso, solo dimostrando l’adozione e l’efficace applicazione di un valido modello di organizzazione e gestione dell’ente e dimostrando, quindi, la evidente volontà del soggetto agente di eluderlo.

Ed infatti la “colpa grave”, elemento psicologico fondante tale responsabilità, consiste nell’omissione da parte dell’ente dell’adozione dei modelli di organizzazione e gestione dell’ente.

La Giurisprudenza sul punto ha pure chiarito che la responsabilità dell’ente è autonoma e distinta rispetto alla responsabilità dell’autore del reato.

Viene quindi esclusa la responsabilità de qua proprio qualora l’ente sia in grado di dimostrare che l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto delittuoso, modelli di organizzazione e di gestione adeguati ed idonei a prevenire i reati contemplati dallo stesso D.Lgs n. 231/2001 e dalle successive modifiche.

In mancanza dei modelli organizzativi o in caso di loro inadeguatezza nonché in caso di mancata applicazione, l’ente va a scontrarsi con un sistema sanzionatorio rilevantissimo, che viene attuato con molto rigore, come peraltro risulta dalle sentenze sia dei Giudici di merito, anche in abito civilistico, che della Corte di Cassazione in materia.

Come anticipato in precedenza gravi e rilevanti sono le sanzioni, di natura pecuniaria ed interdittiva introdotte dal D.lgs. 231/2001.

Peraltro, giova rilevare come le sanzioni interdittive possono essere applicate anche in via cautelare qualora sussistano gravi indizi della responsabilità dell’ente e vi siano fondati e specifici elementi tali da far ritenere il concreto pericolo che vengano commessi illeciti della stessa natura di quello per cui si procede.

Naturalmente alcuna sanzione si applicherà nel caso in cui l’ente si fosse adeguato alla normativa in esame, adottando i modelli organizzativi ed assicurandone la puntuale attuazione ed applicazione pratica. 

Peraltro la normativa di cui al D.lgs. 231/2001 deve essere necessariamente coordinata con la legislazione in materia di sicurezza sul lavoro, dato il richiamo espresso operato dal D.lgs. 231/2001 proprio alle norme sulla sicurezza sul lavoro.

Ne consegue, sotto tale profilo, che il mancato adeguamento delle imprese alla normativa in materia di sicurezza sul lavoro determina altresì una responsabilità ex D.lgs. 231/2011.

In particolare, in caso di mancato adeguamento degli enti alle normative ex D.lgs. 231/2001 ed in materia di sicurezza sul lavoro, il Ministero del Lavoro, tramite gli ispettorati locali può emettere un provvedimento – in questo caso di natura prettamente amministrativa - di sospensione delle attività a tutte le imprese al verificarsi delle seguenti circostanze:

1) impiego di personale in nero in percentuale pari o superiore al 20% dei lavoratori regolarmente occupati; 
2) ripetute violazioni in materia di riposi giornalieri e settimanali nonché superamento dell’orario massimo (medio) settimanale; 
3) gravi e reiterate violazioni in materia di sicurezza e salute sul lavoro.

Pertanto si aggiunge al nucleo di sanzioni interdittive giudiziarie una sanzione interdittiva di natura amministrativa (quindi ricorribile avanti ai TAR).

Si rileva inoltre che i delitti di omicidio colposo e di lesioni colpose gravi o gravissime, conseguenti a violazione delle norme sulla sicurezza sul posto di lavoro, vanno poi ad aggiungersi alle fattispecie di responsabilità amministrativa di società ed enti di cui all’art. 9 del D.Lgs. 231/2001.

Il sistema sanzionatorio è quindi quello del D.lgs n. 231/2001 e qualora si verifichino un omicidio o una lesione personale grave o gravissima a seguito della violazione delle norme sulla salute sul lavoro, gli enti sono severamente puniti, anche se la sanzione varia a seconda della gravità del reato commesso.

Anche al verificarsi di uno dei nuovi delitti in materia di sicurezza sul posto di lavoro, vi è la possibilità di esclusione della responsabilità amministrativa dell’ente, a condizione che questo si fosse dotato di un modello organizzativo e di controllo anche in tema di sicurezza sul lavoro.

E’ evidente che alla luce di questo quadro normativo l’adeguamento a questa normativa costituisce una priorità assoluta per le imprese, che tutt’ora sottovalutano i rischi connessi alla mancata adozione delle procedure e dei modelli organizzativi richiesti dalla legge.

Eppure il rischio cui vanno incontro gli enti che non si adeguino ai precetti del D.lgs. n. 231/2001 è elevatissimo ed è rappresentato dalla vera e propria interruzione dell’attività aziendale, che potrà tutt’al più proseguire solo con la nomina di un commissario giudiziale.

Le sanzioni interdittive, andando ad incidere sull’operatività dell’impresa, possono avere gravi ripercussioni a livello occupazionale.

Non si comprende quindi per quale ragione le imprese italiane abbiano e stiano ritardando l’adeguamento alla normativa in esame.

Peraltro, negli ultimi anni si è registrata una netta accelerazione da parte della Giurisprudenza nell’applicazione delle prescrizioni contenute nel decreto in oggetto e che si è principalmente concretizzata in una serie di ordinanze cautelari con le quali sono state irrogate alle società coinvolte le varie misure interdittive previste e che fa intuire un forte rigore della giurisprudenza nell’applicare il D.Lgs n. 231/2001 e sanzionare gli enti per i reati commessi dai vertici o dai subordinati.

Ad ulteriore dimostrazione del rigore mostrato dalla Giurisprudenza in materia, si ricorda, come già scritto in precedenti post, che secondo la Corte di Cassazione l’ente che non ha attuato modelli organizzativi idonei a prevenire i reati è un soggetto pericoloso nell’ottica cautelare e pertanto la relativa adozione è obbligatoria in quanto ne sono esonerati dall’applicazione solo lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale e gli altri enti pubblici non economici (Vd. Sent. n. 20560/2010; 28699/2010). 

Anzi secondo la Suprema Corte alle disposizioni in materia di responsabilità penale degli enti soggiacciono addirittura le Imprese Individuali.

Conclusione logica soprattutto a seguito dell’intimo collegamento realizzato tra D.lgs. 231/2001 e normativa in materia di sicurezza ed igiene sul luogo di lavoro. 

Di particolare rilievo è poi la Sentenza n. 1774/2008, emessa dal Tribunale di Milano, con la quale sono stati condannati, in sede civile, al risarcimento del danno i vertici (amministratori, direttori generali) di una società già condannata in un procedimento ex D.Lgs. 231/2001.

La statuizione del Tribunale di Milano, soprattutto alla luce dei principi espressi dalla Corte di Cassazione sopra riportati, porta in modo pacifico all’affermazione “di una sorta di obbligatorietà di fatto per l’inserimento degli schemi organizzativi nel tessuto societario”, e ciò al fine di mandare esenti da responsabilità anche civilistica i vertici degli enti in caso di cause di responsabilità ex art. 2393 cod. civ. (amministratori, direttori generali etc…).

I precedenti giurisprudenziali in materia suonano infatti come un avvertimento rivolto ai vertici delle società, come gli amministratori e i direttori generali, a non rimanere inerti davanti al disposto del D.Lgs. 231/01.

L’inerzia rischia di costare cara, poiché la responsabilità attribuita ai vertici aziendali trova fondamento proprio nella negligenza della loro condotta.

Nell’ottica di adeguare la Vostra impresa alle previsioni del D.Lgs. n. 231/2001, lo scrivente (renatomusella@hotmail.com) è in grado di porre al Vostro servizio il know how acquisito ed offrire assistenza professionale altamente qualificata.



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