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venerdì 31 maggio 2013

Corcordato preventivo in bianco tra rilancio e fallimento: grande opportunità o trappola mortale?

C'è la crisi, e le imprese nostrane faticano a pagare Stato e fornitori. 

E così anche il sottoscritto, come tanti colleghi, è subissato dalle richieste di chi, allettato dalle prospettive introdotte dal nuovo concordato preventivo di cui al decreto  sviluppo, D.L. 83/2012, definitivamente convertito con Legge 134/2012, vorrebbe alleggerire la pressione dei creditori e tirare un po' il fiato.

Ma se all'apparenza, all'occhio inesperto, le innovazioni apportate possono sembrare delle prospettive utili per l'imprenditore in affanno, nella realtà si è verificato che, nella maggior parte dei casi, la proposizione della richiesta di concordato, a seguito del facelift, si è rivelata una vera e propria autodenuncia di fallimento.

La ragione è molto semplice. Rispetto al previgente art. 161 L.F., la novità principale è rappresentata dal fatto che l'imprenditore può oggi presentare domanda di concordato in bianco, depositando solo il ricorso, potendo depositare il piano di ristrutturazione economico-finanziaria e la relazione dell'esperto contabile in un secondo momento. 

Il debitore, oggi, nel momento in cui deposita il ricorso, può immediatamente godere di tutte le protezioni proprie del concordato preventivo e, quindi, con la sola proposizione del ricorso le azioni di recupero dei crediti vengono congelate. 

Ma non solo. L'impresa può anche proseguire la propria attività aziendale ed i nuovi fornitori sarebbero in teoria garantiti dal fatto che i loro crediti acquistano la natura di crediti in prededuzione e quindi con il grado massimo di privilegio in sede di riparti e pagamenti.

Il Legislatore di tal guisa ha voluto trasformare la vecchia procedura di concordato, tutta incentrata sulla liquidazione del patrimonio aziendale e finalizzata unicamente al pagamento dei creditori, in una  procedura di ristrutturazione aziendale, come quella prevista dal Chapter 11 della legislazione americana, finalizzata invece al superamento della crisi d'impresa. 

Vi lascio immaginare come l'imprenditore in crisi, venga letteralmente accecato dalla prospettiva di essere autorizzato dal Tribunale a congelare i propri debiti e a rimandare i pagamenti, senza dover al contempo procedere alla liquidazione e, quindi, alla chiusura della propria azienda.

Nulla di più errato e dannoso. Se non vi sono delle liquidità per poter far fronte ai propri debiti, con i quali prima o poi bisognerà confrontarsi, è meglio non prendere neppure in considerazione l'accesso a tale procedura, che si rivelerebbe un clamoroso e doloroso autogol. 

Infatti, se soldi liquidi non ve ne sono, la probabilità che la domanda di concordato in bianco si trasformi in un'autodenuncia di fallimento sono elevatissime. 

Ricordo che ancor prima dell'entrata in vigore della nuova normativa mi contattò un imprenditore che smaniava dalla voglia essere tra i primi a sperimentarla. 

Indovinate incontro a quale destino è andato in contro questo speranzoso pioniere del concordato in bianco, che mi disse di non potersi permettere neppure il costo da me preventivato (vi assicuro modesto) per un parere illustrativo iniziale.

Infatti, nella prassi avviene che, presentato il ricorso, il Tribunale nei 60/120 giorni successivi vuole vedere sia il piano di ristrutturazione economico-finanziario che la documentazione giustificativa così come anche un piano dettagliato contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta concordataria.

Il tutto integrato dalla relazione di un professionista, designato dal debitore, in possesso dei requisiti di indipendenza ed iscritto nel registro dei revisori legali, che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo. 

Tale documentazione deve essere depositata entro 60/120 giorni dal deposito della domanda di concordato in bianco, termine prorogabile di 60 giorni per giusta causa. Il termine è di 60 giorni nel caso in cui sia già stata presentata istanza di fallimento e sia pendente la procedura prefallimentare.

Se in questo lasso di tempo l'imprenditore volesse mutare indirizzo alla soluzione della crisi, potrebbe farlo avvalendosi dello strumento dell' accordo di ristrutturazione del debito ex art. 182 bis L.F. di cui, su richiesta dei lettori, si potrà parlare in futuro.

Attenzione. Qualora il termine fissato decorra inutilmente o il piano non sarà ritenuto fattibile, l'autorità giudiziaria potrà procedere, previa convocazione del debitore, alla dichiarazione di inammissibilità della richiesta di concordato e, in presenza dei presupposti di cui all'art. 1 L.F., al fallimento.

Dopotutto, nel concordato, la valutazione di convenienza spetta esclusivamente al comitato dei creditori, ai quali solo compete di valutare la preferibilità della soluzione concordataria rispetto alla liquidazione fallimentare. 

Peraltro, se è vero che il giudice delegato non dispone più del potere di valutare la convenienza della proposta, egli può comunque arrestare il procedimento, anche prima del giudizio di omologazione  qualora la proposta sia illegittima e, quindi, inammissibile.

Ma non è tutto. Il controllo sulla ritualità della proposta concordataria deve essere effettuato dal giudice delegato e può esplicarsi anche prima dell'acquisizione del parere del comitato dei creditori, qualora tale ultimo passaggio si riveli del tutto inutile a causa della illegittimità della proposta stessa.

Alla luce di quanto sopra, è evidente che, prima di farsi accecare dalle prospettive offerte dal concordato in bianco, si disponga della liquidità necessaria per pagare almeno del 30/50% dei debiti.

Diversamente, evitate di farvi autogol andando a depositare un ricorso per concordato in bianco. 

Il rischio è quello di andare in contro alla dichiarazione di fallimento.

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