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giovedì 23 maggio 2013

Il pistacchio della discordia. L'indicazione equivoca sull'origine del prodotto e la frode alimentare. Tutela del consumatore.


L'Italia è il Bel Paese. Tutto il mondo ci invidia le bellezze artistiche, naturali e, ovviamente, una delle tradizioni gastronomiche più apprezzate.

Nell'immaginario collettivo il Made in Italy, soprattutto quando viene associato alla moda ed ai prodotti alimentari, è sinonimo di altissima qualità, se non di vera e propria eccellenza. Per tale ragione il Made in Italy è spesso vittima di pratiche commerciali e produttive scorrette.

Celeberrimo è il caso del "Parmesan" o del prosciutto di Parma prodotto sì a "Parma", ma al di là dell'oceano, negli Stati Uniti. Tutti prodotti che sfruttano l'italianità per affermarsi sul mercato, a prezzi assai più bassi degli originali nostrani.

Sia chiaro, non ho nulla contro i prodotti provenienti da altri paesi. In questo articolo il campanilismo ed il protezionismo non c'entrano nulla.

Ciò che rileva è la tutela del consumatore, ma anche dei produttori del Made in Italy, quello vero, che hanno costi di produzione assai più elevati e che, quindi, si presentano sul mercato con generi alimentari che già in partenza hanno un prezzo più alto.

La buonafede del consumatore e la certezza della filiera devono essere tutelate sopra ogni cosa, sopratutto quando si tratta di prodotti alimentari che mangiamo ed ingeriamo.

Invece, al di là dei casi più eclatanti, c'è sempre chi, nel tentativo di aggirare leggi e regolamenti, cerca di proporre sul mercato generi alimentari, prodotti all'estero o con prodotti esteri, come prodotti propri tipici della tradizione italica.

Ci ha provato, ad esempio, un'azienda, che, sfruttando la notorietà dei pistacchi siciliani, molto apprezzati e noti per la loro bontà, produceva pistacchi confezionati, nella cui etichetta si legge, in caratteri grandi, “sfiziosità siciliane” e, in caratteri più piccoli, quasi minuscoli, “pistacchi sgusciati del Mediterraneo”.

I pistacchi in questione, tuttavia, in Sicilia non nascevano, ma ci arrivavano, certo non per una vacanza, ma per essere imbustati e venduti.

Questo caso è a mio avviso molto interessante perché la Giurisprudenza ha ravvisato già solo nella etichettatura poco chiara del prodotto il reato di frode alimentare.

Forse il nostro produttore di pistacchi voleva giocare sull'equivoco ed, infatti, diceva lui, non erano i pistacchi ad essere siciliani, ma l'azienda produttrice. Sempre secondo il nostro produttore di pistacchi, il consumatore era sufficientemente informato della vera provenienza del prodotto, e quindi tutelato, dalla dicitura "pistacchi del Mediterraneo", dal quale avrebbe potuto evincere che il pistacchio era d'oltre mare.

Questa strategia difensiva non ha convinto i Giudici, che hanno fatto osservare che il Mediterraneo è grande e l'etichettatura, di tal guisa, giocava sugli equivoci a tutto danno del consumatore.

Una etichettatura che fornisce informazioni ambigue e non adeguate, precise e corrette sulle caratteristiche del bene acquistato. Indi per cui idonea a trarre in inganno il consumatore, svalutando le qualità del prodotto.

Di fatto, la Giurisprudenza sembra ravvisare nella corretta informazione del consumatore una estensione della libertà di autodeterminazione e di scelta dell'individuo di cui all'art. 2 Cost.

Tale diritto, ad avviso di chi scrive, avrebbe come proprio corollario naturale anche la libertà di scelta del consumatore, che dovrebbe essere messo nelle condizioni di poter scegliere in modo consapevole, tra la molteplicità di prodotti che il mercato offre, prediligendo quello che soddisfa maggiormente i suoi gusti ed aspettative.

Una fuorviante informazione circa l'origine del prodotto può, al contrario, nettamente influenzare la scelta del consumatore.

Proprio a tutela di tale diritto si erge un severo impianto normativo, tanto a livello nazionale quanto a livello comunitario, che pone l'accento sulla necessità di riportare in etichetta informazioni chiare,  leggibili e soprattutto veritiere sulle caratteristiche dei prodotti alimentari, con il fine di evitare che omissioni o false indicazioni possano indurre in errore il consumatore.

E', peraltro, di recente emanazione la Legge n. 4 del 2011, in materia di etichettatura e qualità degli alimenti, che prevede l’obbligo di indicare in etichetta, tra le altre informazioni, il luogo di origine o di provenienza degli alimenti, proprio al fine di rafforzare la prevenzione e la repressione delle frodi alimentari.

La legge citata, tra l’altro, tutela, con attenzione e rigore, il bisogno diffuso e condiviso della collettività di disporre di dati chiari, trasparenti e non ingannevoli, al fine di procedere agli acquisti con sicurezza e fiducia, senza dover convivere con la sensazione di aver subito una truffa.

Ne consegue che gli sgambetti al Made in Italy possono avere conseguenze molto serie. Vendere prodotti alimentari utilizzando una etichetta equivoca, sia per il contenuto che per la scarsa leggibilità, in quanto idonea ad ingannare il consumatore sull’origine dell’alimento, è un reato grave.

La condotta ingannevole integra non solo una infrazione amministrativa ex Legge n. 4/2011, ma altresì gli estremi del reato della frode in commercio, fattispecie prevista e punita, ai sensi dell'art. 515 c.p., con la reclusione fino a due anni o della multa fino a 2.065 euro, oltre alle sanzioni previste ex D.lgs. 231/2001, con eventuale sospensione dell'attività aziendale.

Insomma, cari amici il Made in Italy è un bene prezioso ed i comportamenti ambigui di chi vorrebbe fregiarsi della sua alta considerazione sul mercato, associandolo a prodotti che Made in Italy non sono, possono costare molto caro ed il produttore "allegro" rischia una bella indigestione.

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