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Il P.V.C. (processo verbale di contestazione)
è contemplato dal rinvio operato dall’articolo 52 del D.P.R. n. 633/1972,
contenuto nel comma 1 dell’articolo 33 del D.P.R. n. 600/1973, in forza del
quale l’esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche disposte dagli uffici
finanziari e dalla Guardia di Finanza, mediante indagini di polizia
amministrativa, si deve concludere con la redazione di un processo verbale, da
cui risultino le ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al
contribuente, o a chi lo rappresenta, e le risposte ricevute.
Il P.V.C. riveste mera natura di atto
pubblico, formato da chi riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di
incaricato di pubblico servizio, mediante il quale si attesta, o si descrive,
un determinato comportamento o una determinata situazione, al fine di rendere
possibile l’utilizzazione dell’atto medesimo come mezzo di prova.
Si tratta, per l’effetto, di atto pubblico ex articolo
2699 ss cod. civ. e atto recettizio (che acquista cioè validità ed efficacia
allorquando venga portato a conoscenza dei destinatari), al quale deve
riconoscersi l’efficacia di piena prova, seppur con limiti ben precisi, fino a
querela di falso.
Peraltro, il P.V.C. è di
foriero di importanti effetti e conseguenze di natura giuridica, che vanno
ben oltre l’aspetto probatorio strictu sensu delle violazioni
rilevate in sede di verifica e dei relativi addebiti.
In ambito tributario, il processo verbale di
constatazione è stato, infatti, man mano configurato dal legislatore come mezzo
necessario ad attuare uno degli istituti deflattivi del contenzioso tributario,
il processo di adesione ai verbali di constatazione in materia di imposte
dirette e di imposta sul valore aggiunto (art. 5 bis del D.lgs n.
218/1997) o, ancora, per segnalare agli uffici accertatori l’opportunità di
procedere all’applicazione delle misure cautelari previste dai commi da 1 a 6
dell’art. 22 del D.lgs n. 472/1997, sulla base degli importi contenuti nei
rilievi del processo verbale di constatazione.
Si può, pertanto, affermare che i funzionari
dell’Agenzia delle Entrate e i militari della Guardia di Finanza incaricati di
eseguire controlli fiscali nella forma di accessi, ispezioni e verifiche, non concludono l’intervento
ispettivo con l’atto tipico di un comune agente accertatore
(di massima, organi addetti al controllo sull'osservanza delle disposizioni per
la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una
somma di denaro), ma piuttosto predispongono un atto conclusivo dell’attività
ispettiva fiscale che, per la specialità della materia, non si può, invero, identificare, completamente in quello regolato
dagli artt. 134 e seguenti del c.p.p.
Ne consegue che il processo verbale di
constatazione redatto in sede di controllo fiscale non è un atto
autonomamente impugnabile, perché non rientra tra quelli previsti dall'articolo
19 del Dlgs n. 546/1992.
Per stabilire quali atti siano impugnabili in
via differita e quali, invece, non siano impugnabili in assoluto, il criterio
da seguire è, infatti, quello tracciato per il processo amministrativo.
Gli atti non nominati, se sono atti lesivi,
non sono da impugnare immediatamente, ma con ricorso contro gli atti
successivi, rispetto ai quali l’atto non impugnabile ha valore di atto
presupposto o pregiudiziale.
Ciò significa, in pratica, che il
contribuente, ricevuto un atto non compreso tra quelli espressamente indicati
come impugnabili autonomamente, deve attendere che gli venga notificato un atto
autonomamente impugnabile, e proporre ricorso contro entrambi.
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