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La Corte Costituzionale annulla la modifica all'art. 10-ter del D.lgs. n. 74/2000, con cui veniva abbassata la soglia di rilevanza penale dell'omesso versamento IVA, dagli euro 103.291,38 originari agli euro 50.000,00.
La Corte Costituzionale annulla la modifica all'art. 10-ter del D.lgs. n. 74/2000, con cui veniva abbassata la soglia di rilevanza penale dell'omesso versamento IVA, dagli euro 103.291,38 originari agli euro 50.000,00.
In
particolare la norma puniva in modo diverso ed anzi più grave la condotta di
chi avesse effettuato la dichiarazione in modo corretto, omettendo il
versamento, rispetto a chi non avesse presentato affatto la dichiarazione o
l'avesse presentata in modo fraudolento.
Dopotutto
non vi è chi non veda come il Governo di Centro Sinistra all'epoca in carica
avesse emanato una legge schizofrenica, che punishe maggiormente chi si fosse
comportato invece in modo più corretto e diligente.
E' palese
che il mancato pagamento dell'importo correttamente dichiarato sia una condotta
di gravità inferiore rispetto a quella di chi, omettendo la dichiarazione o
falsificandola, renda più difficoltoso l'accertamento dell'evasione compiuta.
L'errore è
stato corretto con l'art. 2, comma 36-vicies semel, del D.L. n. 138
del 2011, aggiunto dalla legge di conversione n. 148 del 2011, con cui la soglia
di punibilità dell'omessa dichiarazione è stata portata ad euro
30.000,00 e quella della dichiarazione infedele ad euro 50.000 euro.
Tuttavia,
secondo la Corte Costituzionale, poiché le nuove soglie si applicano ai soli
fatti successivi alla novella, configurandosi una chiara reformatio in peius,
vietata nel nostro ordinamento, la sperequazione in danno dei responsabili
dell'omesso versamento è rimasta operante per tutti i fatti antecedenti.
La Corte
Costituzionale ha deciso di portare al di irrilevanza penale della condotta di
omesso versamento a quella vigente, nello stesso periodo, per i
fatti di dichiarazione infedele.
Di qui la
dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 10-terdel
decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, «nella parte in cui,
con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011,punisce
l'omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla
relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun
periodo di imposta, ad euro 103.291,38».
La sentenza
ha accolto la questione di costituzionalità proposta dal giudice del Tribunale
di Bergamo con ordinanza del 17.9.2013, così motivando la sussistenza del vizio
denunciato dal giudice remittente:“... emerge … un evidente difetto di
coordinamento tra la soglia di punibilità inerente al delitto che interessa e
quelle relative ai delitti in materia di dichiarazione di cui agli artt. 4 e 5
del d.lgs. n. 74 del 2000 (dichiarazione infedele e omessa dichiarazione):
difetto di coordinamento foriero di sperequazioni sanzionatorie che, per la
loro manifesta irragionevolezza, rendono censurabile l’esercizio della
discrezionalità pure spettante al legislatore in materia di configurazione
delle fattispecie astratte di reato (ex plurimis, sentenze n. 68 del 2012, n.
273 e n. 47 del 2010)”.
La
pronuncia, pur nella sintesi delle argomentazioni spese dal giudice delle
leggi, è molto chiara, per cui è sufficiente rievocare gli elementi posti a
fondamento della declaratoria d’incostituzionalità per descrivere il
ragionamento della Corte.
Nella
seconda parte di questo contributo si esamineranno alcuni profili conseguenti
alla pronuncia, rilevanti per i giudici del merito che dovranno applicarla.
I motivi
della declaratoria d’incostituzionalità.
La Corte ha
rilevato che nel caso in cui l'IVA dovuta si situi nell'intervallo tra le
soglie previste dai citati artt. 4 e 5 da un lato, e 10 ter dall'altro, ne
conseguirebbe un trattamento deteriore per chi ha regolarmente presentato la
dichiarazione IVA senza versare l'imposta dovuta e “autoliquidata” rispetto a
chi non l’ha presentata o l'ha presentata inveritiera, senza comunque versare
l'imposta.
Per questo
ha ritenuto sussistente la lesione del principio di eguaglianza, reputando come
“incontestabilmente più gravi sul piano dell'attitudine lesiva degli
interessi del fisco” le condotte di cui agli artt. 4 e 5, rispetto a quella
dell'art. 10 ter (come emerge dal raffronto delle rispettive pene edittali e
dalla maggiore insidiosità delle prime rispetto alla seconda).
Al termine
del proprio argomentare, la Corte ha fatto riferimento alla modifica
legislativa intervenuta con il d.l. 138/2011 (convertito nella l. 148/2011) -
che ha ridotto la soglia di punibilità delle condotte delittuose previste agli
artt. 4 e 5 d. lgs. 74/2000 a 30.000 euro - interpretando tale intervento come
espressione della consapevolezza in capo al legislatore dell'incongruenza
rilevata e come risolutivo della distonia.
Si tratta di
un giudizio “benevolo” circa la capacità del legislatore di cogliere le
incongruenze nei sistemi sanzionatori penali di determinate condotte (come è il
d. lgs. 74/2000), se si tiene conto che per molti anni la ritenuta distonia non
è stata corretta in sede legislativa e che è stato necessario un intervento
della Corte costituzionale per rilevarla.
Se il
legislatore fosse stato consapevole della violazione del principio di
eguaglianza perpetrato sino al 2011, sarebbe potuto intervenire per ovviarlo
con una disciplina transitoria, ma non risulta che un tale intervento sia stato
anche solo prospettato nel corso dell’iter legislativo del decreto legge e
della legge di conversione.
Piuttosto,
deve ritenersi che l’abbassamento delle soglie sia stato determinato dalla
richiesta proveniente dall’opinione pubblica di un trattamento più severo nei
confronti degli evasori fiscali, intervento legislativo che, come spesso accade
a fronte di tali pressioni, si limita a imporre un maggior rigore sanzionatorio
o una soglia inferiore di punibilità per le violazioni altrimenti sanzionate,
senza particolari valutazioni sulla coerenza del sistema sanzionatorio.
La data di
entrata in vigore del citato decreto legge è stata individuata come il dies ad
quem della pronuncia d’illegittimità costituzionale, perché, come affermato
dalla Corte, alla stessa declaratoria “… consegue che, con riguardo ai fatti
commessi sino alla predetta data, il vulnus costituzionale permane.”
La Corte ha
concluso, affermando che” … al fine di rimuovere nella sua interezza la
riscontrata duplice violazione del principio di eguaglianza è necessario evidentemente
allineare la soglia di punibilità dell’omesso versamento dell’IVA – quanto ai
fatti commessi sino al 17 settembre 2011 – alla più alta fra le soglie di
punibilità delle violazioni in rapporto alle quali si manifesta l’irragionevole
disparità di trattamento: quella, cioè, della dichiarazione infedele (euro
103.291,38).”
A fronte
dell'intervenuta declaratoria d’illegittimità costituzionale, le violazioni
dell'art. 10 ter commesse fino al 17.9.2011, sino alla soglia di 103.291,38
euro, non sono penalmente sanzionabili (si valuterà tra poco la formula che
si ritiene debba essere adottata per la pronuncia assolutoria o per
l’archiviazione nei casi di procedimenti pendenti).
L’ultima
questione che è stata esaminata dalla Corte concerne il raffronto tra gli
elementi costitutivi degli artt. 5 e 10 ter d. lgs. 74/2000, in particolare
dell’ulteriore soglia prevista per la prima fattispecie delittuosa, ritenuta
del tutto irrilevante in ragione della sua diversa struttura.
Le
conseguenze per i giudici del merito.
Alla luce
del ragionamento della Corte Costituzione è possibile trarre alcune conseguenze
valide per chi dovrà applicare la pronuncia.
Per valutare
le condotte non punibili dovrà farsi riferimento alla data di commissione del
reato come definita nella fattispecie, cioè il termine per il versamento
dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo a quello in
contestazione.
Poiché tale
termine è indicato nel 27 dicembre, sono esenti da pena tutte le omissioni di
versamento dell’IVA dovuta per gli anni d'imposta tra il 2005 e il 2009
comprese tra 50.000 e 103.291,38 euro.
L’ultima
annualità per il quale la pronuncia è rilevante è, appunto, il 2009, il cui termine di consumazione
del reato omissivo era il 27.12.2010.
Quanto alla
formula assolutoria, si ritiene che debba adottarsi quella dell'insussistenza
del fatto.
La
fattispecie delittuosa contestata, a seguito della declaratoria d’illegittimità
costituzionale, prevede, per l'IVA relativa agli anni d'imposta fino al 2010,
una soglia di punibilità di 103.291,38 euro, per cui il suo mancato superamento
determina l'insussistenza di uno degli elementi costitutivi del reato.
Non sarebbe
corretta una formula assolutoria della non previsione del fatto come reato,
perché la violazione amministrativa è integrata non dal mancato pagamento nei
termini previsti all'art. 10 ter, ma si realizza con il mancato versamento
mensile o trimestrale dell'IVA.
Sotto questo
profilo è opportuno richiamare ancora la sentenza a SSUU n. 37424/13 della
Corte di Cassazione, che ha espressamente affermato che le divergenze tra i due
illeciti“ … inducono a ricostruire il rapporto fra i due illeciti in
termini, non di specialità, ma piuttosto di "progressione": la
fattispecie penale - secondo l'indirizzo di politica criminale adottato in generale
dal d.lgs. 74 del 2000 (su cui v. in particolare Corte cost., sent. n. 49 del
2002) - costituisce in sostanza una violazione molto più grave di quella
amministrativa e, pur contenendo necessariamente quest'ultima (senza almeno una
violazione del termine periodico non si possono evidentemente determinare i
presupposti del reato), la arricchisce di elementi essenziali (dichiarazione
annuale, soglia, termine allungato) che non sono complessivamente riconducibili
al paradigma della specialità (che, ove operante, comporterebbe ovviamente
l'applicazione del solo illecito penale), in quanto recano decisivi segmenti
comportamentali (in riferimento alla presentazione della dichiarazione annuale
IVA e al protrarsi della condotta omissiva), che si collocano temporalmente in
un momento successivo al compimento dell'illecito amministrativo.”
Non sarebbe
corretta la formula del non essere il fatto più previsto dalla legge come
reato, perché la sentenza d’illegittimità costituzionale determina
l'insussistenza ab origine degli elementi costitutivi del
reato, tra i quali è compreso il mancato superamento della soglia.
Vi è un
ultimo profilo da segnalare, rispetto al quale sarà opportuna una riflessione
più articolata (e che in questo contributo non è possibile compiere).
L’incostituzionalità
ha riguardato la fattispecie dell’art. 10 ter, mentre continuano a configurare
reato le ipotesi di omesso versamento delle ritenute certificate superiori a
50.000 euro antecedenti al 2011.
La sentenza
non può avere effetti diretti sul giudizio di legittimità costituzionale
dell’art. 10 bis per i fatti commessi fino al 17.7.2011, per somme non versate
il cui ammontare è oggetto della questione di legittimità costituzionale
accolta dalla Corte con la sentenza commentata.
La pronuncia
si fonda su circostanze specifiche del debito IVA, che ha come parametro di
comparazione le fattispecie di cui agli artt. 4 e 5 d. lgs. 74/2000 (aventi a
oggetto, appunto, la dichiarazione IVA e non la dichiarazione modello 770
relativo alle ritenute certificate).
Non si
esclude che possa essere prospettata una questione di costituzionalità rispetto
alla fattispecie di cui all’art. 10 bis, il cui unico fondamento potrebbe
consistere nella diversità di trattamento di inadempimenti fiscali aventi la
medesima gravità, quello IVA e quello delle ritenute certificate.
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