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domenica 29 maggio 2011

La condotta antigiuridica del fallito gli preclude l'accesso all'esdebitazione

Introdotta nel 2006 sulla falsa riga della procedura di discharge di origine anglosassone, l'esdebitazione è un beneficio accordato all’imprenditore corretto, ma sfortunato, che gli consente la liberazione dai debiti non soddisfatti nella procedura, al fine di consentire all'imprenditore corretto di di procedere con un fresh start.

Ne consegue che possono accedere all'esdebitazione gli imprenditori individuali ed i soci illimitatamente responsabili delle società personali.

L’esdebitazione è decisa dal tribunale, sentito il curatore ed il comitato dei creditori nel decreto di chiusura del fallimento oppure successivamente, su ricorso del debitore, entro un anno dalla chiusura della procedura, se sussistono i requisiti di meritevolezza indicati dall’art. 142 L.F., sempreché il fallito abbia collaborato con gli organi della procedura e siano stati pagati almeno parzialmente i debiti concorsuali.

Il decreto con cui il fallito viene ammesso all'esdebitazione determina l'inesigibilità nei confronti del debitore già dichiarato fallito dei debiti concorsuali non soddisfatti integralmente.
Propio con riferimento ai requisiti di meritevolezza ex art. 142 L.F., secondo la Suprema Corte (Sent. 11279/2011), l'art. 142 L.F., nella nuova formulazione, tra le condizioni per l'ammissibilità del fallito persona fisica al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti, richiede che il fallito stesso non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura concorsuale.
Il termine "ritardare" secondo la Suprema Corte deve essere letto nell'accezione di "ostacolare" e, quindi, indicativo di un comportamento da ritenersi antigiuridico, perchè in contrasto con il fondamentale principio di durata ragionevole del processo, di cui all'art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ed all'art. 111 Cost., comma 2.

La locuzione "in alcun modo" invece deve essere interpretate nel senso che qualsiasi azione o comportamento, che abbia ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura - vale a dire che abbia determinato o contribuito a determinare una irragionevole durata della procedura fallimentare - determini l'applicazione della norma in esame.

Tra le condotte antigiuridiche volte a ritardare la procedura concorsuale devono essere rincomprese anche eventuali azioni giudiziali che presentino a mio avviso i requisiti ex art. 96 c.p.c., introdotte dal debitore fallito sebbene destituite di fondamento e pretestuose e che possano, quindi, ritenersi proposte all'unico scopo di ritardare o, comunque, contribuire a ritardare lo svolgimento della procedura fallimentare.

Tra i comportamenti antigiuridici, di cui alla disposizione in questione, devono essere poi inclusi anche gli atti di disposizioni del proprio patrimonio, posti in essere dall'imprenditore, nella consapevolezza della irreversibilità della crisi dell'impresa, avendo da tale momento il dovere di astenersi dal compiere tutti quegli atti che possono in qualche modo pregiudicare o ritardare la liquidazione dei beni dell'impresa, destinati ormai, in conseguenza della crisi in atto, ad essere liquidati per provvedere al soddisfacimento dei creditori nel rispetto della par condicio degli stessi. 

Anche chi, consapevole della irreversibilità dello stato di insolvenza, omette di chiedere il fallimento e nella consapevolezza di tale situazione compie atti di disposizione del proprio patrimonio, ritarda o contribuisce a ritardare lo svolgimento della procedura, atteso che rende necessarie azioni recuperatorie da parte della curatela (azioni revocatorie, azioni di rilascio di beni immobili), che spesso comportano un lungo e impegnativo contenzioso.

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