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mercoledì 13 aprile 2011

La Suprema Corte pone a carico del datore di lavoro l'onere di provare l'osservanza della percentuale dei lavoratori da assumere a termine rispetto ai dipendenti impiegati a tempo indeterminato

Secondo la Corte di Cassazione (Sent. 7645/2011), l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro, oltre che nelle ipotesi di cui alla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modificazioni ed integrazioni, nonché al D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis convertito, con modificazioni, dalla L. 25 marzo 1983, n. 79, è consentita nelle ipotesi individuate nei contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. I contratti collettivi stabiliscono il numero in percentuale dei lavoratori che possono essere assunti con contratto di lavoro a termine rispetto al numero dei lavoratori impegnati a tempo indeterminato.

Conformemente a quanto sostenuto dalla dottrina maggioritaria, l'unica limitazione imposta alla contrattazione collettiva dalla L. n. 56 del 1987 è quella di stabilire il numero percentuale dei lavoratori a termine rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato; limitazione che funge da contrappeso agli ampi poteri alla stessa contrattazione assegnati, perché a fronte del sistema di tassatività previsto dalla L. n. 230 del 1962, la normativa del 1987 ha mostrato di volere procedere ad una significativa inversione di tendenza per avere, appunto, assegnato all'autonomia sindacale il compito di individuare, come detto, ipotesi di contratto a termine ulteriori rispetto a quelle previste per legge (cfr. in motivazione Cass. 7 dicembre 2005 n. 26989).

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